Dal catalogo “ISTANTI – Under the skin of images“
Roma, Galleria Angelica, 21 Settembre – 3 Ottobre 2013
Contributo del Senatore Riccardo Nencini
Roma. Città eterna in continuo in divenire. Immobile nel suo incessante mutare. Somma di secoli e di secondi. Rappresentarne la sua identità tra passato, presente e futuro, dove l’immanente si miscela con il trascendente, il fenomenico con il numenico, è la sfida audace raccolta dal giovanissimo, ma già artisticamente maturo, Claudio Cionini. Le sue raffigurazioni di un architettura carica dell’autorevolezza della storia, ma vivificata dalle anime di chi l’ha resa una realtà tangibile, provocano emozioni e riflessioni su l’oltre. Sembrano suggerire una città dietro la città, ciò che esiste oltre il visibile. Ombre, sussurri, inquietudini appena percepibili. Movimento e staticità sapientemente miscelate in una leggerezza cromatica di una profondità subliminale.
Riccardo Nencini
Contributo del Professor Salvatore Italia
Claudio Cionini rientra in quella categoria di artisti desiderosi di uscire dalle linee e dalle tendenze tradizionali attraverso la ricerca di un proprio linguaggio espressivo che possa costituire il tratto distintivo della loro arte.
Il pittore toscano ha rivolto la sua attenzione ai paesaggi urbani, visitati nelle loro diverse angolazioni. Nelle sue tele, prive di figure umane, le grandi città del mondo appaiono nella maestosità delle spettacolari arterie o nella suggestiva imponenza delle costruzioni. New York, Tokyo, Madrid, Parigi risplendono nella sfumata ricchezza di vedute da tutti conosciute, ma che l’artista riesce a rappresentare in una sequenza di emozioni singolarmente attraenti. E’ questo il linguaggio peculiare di Cionini, capace di offrire, con magnifica sapienza e dosaggio di colorazioni, le atmosfere, ora rarefatte, ora di superba dinamicità , che avvolgono tanto i rinomati centri storici quanto le desolanti periferie.
La mostra presso la Biblioteca Angelica di Roma vuole costituire, anzitutto, il meritato riconoscimento di una pubblica istituzione nei confronti di un artista di spiccata levatura, serio e attento in un lavoro di continua ricerca espressiva. Ma è anche una bella occasione per mostrare una mirabile e affascinante serie di opere.
Infine mi pare assai significativo l’omaggio che Cionini ha riservato a Roma con alcune opere, di straordinaria suggestione, dedicate ai luoghi più celebri della capitale.
Non possiamo che augurare al maestro toscano un cammino sempre più luminoso, peraltro già costellato di unanimi riconoscimenti da parte della critica nelle diverse rassegne a lui dedicate, nel variegato panorama dell’arte contemporanea del nostro Paese.
Salvatore Italia
Già Direttore generale nel Ministero per i beni culturali
"Sotto la Pelle delle Immagini" (Giovanni Faccenda)
«Poiché tutte le cose son piene della mia anima
emergi dalle cose, piene dell’anima mia.
Farfalla di sogno, rassomigli alla mia anima,
e rassomigli alla parola malinconia.»
Pablo Neruda
Pervasa da silenzi che echeggiano distinti umori esistenziali, la pittura di Claudio Cionini si mostra informata a una riflessione severa, non limitata al solo ambito estetico. Quanto contraddistingue, nella sostanza, il lavoro di un autore portato a indagare, della realtà, la dimensione più intima è, infatti, quella diffusa tensione lirica che abita scenari urbani, differenti per dominio geografico e tuttavia affini quali allusive ribalte teatrali per un genere di umanità accomunato da identiche trepidazioni, estese a varie latitudini.
Il progressivo consolidamento di un’identità pittorica, fra le più interessanti nel panorama contemporaneo, ha scandito in questi anni alcuni momenti emblematici dell’attività di Cionini, sollecitandone l’impegno verso orizzonti creativi sempre nuovi. Benché egli sia rimasto fedele a talune peculiarità stilistiche, che gli avevano assicurato l’interesse del pubblico e della critica agli esordi, nel tempo è cresciuta la varietà delle soluzioni espressive, tanto da arricchire di ulteriori contributi la fascinosa prospettiva delle tipiche inquadrature.
Strade, scorci, vedute aeree di città o metropoli, sono dunque diventati, per Cionini, invitanti territori di sfida per le sue cospicue doti. Ma più che i variegati profili, le trame, le diverse architetture, ciò che maggiormente continua ad attrarlo è quanto nascostamente abiti simili contesti in una profondità misteriosa e invisibile: fremiti talvolta lividi come la pelle del catrame o di ermetiche facciate che sigillano verità di case e di palazzi.
La ricercata essenzialità dell’impianto cromatico collima simbolica: come scarnificati nella loro consueta apparenza, i soggetti raggiungono intensità sentimentali inedite, suscitando, nella mente di chi guarda, impressioni mutevoli. Sobria è pure la materia che talora sfalda ordini visivi, accentuando un senso di disfacimento metaforico che racchiude, invero, altri indizi fecondi.
Basterebbe prendere spunto dall’omaggio reso recentemente a Roma da Cionini per comprendere come e quanto si sia dilatata la sua visione – del mondo, delle cose, degli uomini – e, di conseguenza, il pregiato sapore che caratterizza l’attualità dei suoi esiti: dipinti al cospetto dei quali è dato, oggi, di avvertire luoghi perlopiù mentali, ove, del loro originario riferimento fisico, non resta che il sorgivo afflato di uno spirito mantenutosi purissimo.
È allora altro la «città eterna» così come l’ha dipinta e ha saputo mostrarcela Cionini. Aree antiche e moderne, affrancate da ogni rigida attinenza temporale e topografica, sono a un tratto risorte in una luce aurorale accarezzata da suggestioni più pacate; è mutata la temperatura che arroventa lo sguardo di fronte a meraviglie immortali; si sono infine spente le voci, becere, che involgariscono parti e atteggiamenti insiti nella consueta farsa quotidiana.
In fondo, in questa Roma surreale, che fa pensare a Fellini e Antonioni più che a Pasolini e Moravia, è come se Cionini avesse trovato qualcosa di Berlino, Parigi e Londra in un curioso intrigo memoriale. La pittura, ai più estrosi, consente simili tragitti straordinari: quando è tale, anzi, li isola verso sommità destinate a rimanere, per molti, inaccessibili apici.
Firenze, agosto 2013.
"Anime d'acqua e cemento" (Paola Barbon)
Sono nata in una città dormitorio, alla fine degli anni Sessanta.
Una città grigia, con grappoli di condomini dalle forme sgraziate, cresciuti di fretta – ai miei occhi di bambina spuntavano magicamente in una sola notte – in maniera disarticolata, senza l’accenno di un piano regolatore. Una città senza alberi, senza prati, spesso pervasa dall’odore cattivo della chimica. Una città in cui crescere con giochi di cemento e asfalto. Una città sconosciuta, un nome-crocevia, buono solo da annunciare nella stazione dei treni come penultima fermata, una manciata di minuti prima dell’altra, sua bellissima sorella, città unica al mondo che le ha dato in prestito il nome, città immensa – questa sì – di ori e di bianchi abbaglianti, con una storia regale, meta vera dei viaggiatori, dove l’azzurro del cielo diventa liquido.
Una città, la mia, che ha cominciato a concepire i primi abbozzi di aree verdi quando io frequentavo ormai le scuole medie, invitando tutte le classi di bambini a disegnare spazi gioco ideali, futuri labirinti, altalene, parchi. Ho terminato l’Università mantenendo la segreta speranza che, da qualche parte, prima o poi il labirinto della Seconda C sarebbe stato realizzato. E ancora ricordavo bene il percorso esatto per arrivare alla torretta centrale e poi uscire (destra, destra, sinistra, destra…).
Una città che ancor oggi, seppur in gran parte ripulita ed abbellita, soffre zone di profondo degrado. Ma è la mia città, ed il cordone ombelicale è impossibile da recidere anche se te ne allontani. Per questo la mia anima è particolarmente legata a quella dei pittori che scelgono la città come soggetto delle proprie opere.
Perchè la città è difficile.
Perchè la città è cruda.
Perchè la città è monocromatica.
E comunque la guardi – con gli occhi bassi, posati sull’asfalto bollente nella calura estiva, o a volo d’uccello, sopra tetti irregolari nei cieli pungenti e infiniti di Gennaio – LEI vive. Negli ultimi anni il suo fascino continua ad attirare un numero sempre più cospicuo di artisti, come una donna sensuale da scoprire e conquistare poco a poco: uno sguardo sfuggente dietro i vetri dei palazzi, e braccia, e gambe, e dita lunghe come strade, segnate sulle nocche dalle cicatrici delle strisce pedonali, i capelli avvolti dalle nuvole, una bocca – rossa – nel lampo lucido di qualche vettura solitaria di passaggio.
Fugace.
Forte.
Graffiante.
Purtroppo, non tutti sono in grado di coglierla e di mostrarla come è realmente. Non basta sedersi a dipingere: è necessario sentirla dentro. E’ necessario averla vissuta, come un’impronta indelebile sulla pelle, sia essa metropoli dagli immensi viali, costeggiati da bianchi edifici lineari, sia essa groviglio di architetture industriali macchiate dalla ruggine, moderne foreste di alberi spezzati ed anneriti. E’ una regola non scritta che scorre nelle vene, è lo stesso motivo per cui l’odore del mare sprigiona meglio dalla tela se le mani di chi lo dipinge sono cresciute giocando con la sabbia.
Non è mai simpatico stilare classifiche di bravura o competenza, ma dal momento che io scrivo d’arte solo per passione, da collezionista invaghita e mai sazia, posso permettermi – a volte – qualcosa che è negato ai critici di professione, o agli addetti ai lavori, siano essi curatori o galleristi. Posso, secondo il mio gusto e la mia sensibilità, dividere i bravi dai meno bravi. Posso scegliere di non interessarmi al lavoro di chi, a mio giudizio, si intestardisce tristemente con pennelli e colori, quando magari sarebbe stato un eccellente panettiere. O pilota d’aereo. O ortopedico. Posso dire, senza paura di essere smentita da chi, per certo, ne sa più di me, che Claudio Cionini è – al contrario – decisamente da podio. Già ora, in giovane età, mentre lo sguardo sulle “sue” città è in continuo cambiamento, è mutevole, e quindi lanciato verso nuovi traguardi e nuove forme, come metallo fuso che si forgia, rinnovandosi.
Opere scelte, le sue, mai seriali, mai scontate, non facili da reperire, raffinate golosità per palati esigenti.
Claudio Cionini sa trasmettere. Con pochi colori: ocra, azzurro, grigio. Rosa, a volte. E qualche squarcio scuro. Ma danzanti tra loro, fusi nel vento che accarezza gli edifici, che trasporta l’umore salmastro delle acque, le polveri delle fabbriche inerti. Pochi colori che diventano velatura, trasparenza, oppure colatura, o densità improvvisa, o polla gorgogliante: gli occhi di chi osserva l’opera di Cionini non conoscono la noia. E’ un percorso da seguire: ora è lampo verticale, verso un cielo mai completamente terso, che cela bagliori come ricordi di vicine piogge; ora è volteggio orizzontale, ad inseguire presenze sconosciute. Mai si vede ombra umana nelle opere di Cionini, eppure trasudano in abbondanza di umanità, di fatiche, di sforzi. E di storia.
Grandi città, ancora assonnate, splendenti in livide albe, oppure madide di nebbia: dall’Europa del passato, secoli di pietre e di marmi, alle nuove lontane metropoli di vetro scintillante. E fabbriche, tante queste, abbandonate forse, o forse in notturna attesa di un abbraccio metallico tra corridoi ed impalcature: forgiate dalla mano dell’uomo e lasciate alla pura contemplazione, sospese nel tempo, come cattedrali diroccate, dalle immense navate aperte su un cielo senza più un dio.
Con mano sapiente Claudio Cionini accompagna chi si abbandona volontariamente alla sua città – chi la vuole respirare a fondo, quale unico visitatore privilegiato – riuscendo a svelare prospettive sempre nuove, mentre il viaggiatore incuriosito trattiene il fiato per non spezzare la magia del silenzio aleggiante, ed in punta di piedi attende qualcosa di sorprendente in fondo alla via, dietro l’ultimo angolo.
Venezia-Mestre, 19 Maggio 2013
Dal catalogo
“ISTANTI – Under the skin of images“
Roma, Galleria Angelica
21 Settembre – 3 Ottobre 2013
Contributo del Senatore Riccardo Nencini
Roma. Città eterna in continuo in divenire. Immobile nel suo incessante mutare. Somma di secoli e di secondi. Rappresentarne la sua identità tra passato, presente e futuro, dove l’immanente si miscela con il trascendente, il fenomenico con il numenico, è la sfida audace raccolta dal giovanissimo, ma già artisticamente maturo, Claudio Cionini. Le sue raffigurazioni di un architettura carica dell’autorevolezza della storia, ma vivificata dalle anime di chi l’ha resa una realtà tangibile, provocano emozioni e riflessioni su l’oltre. Sembrano suggerire una città dietro la città, ciò che esiste oltre il visibile. Ombre, sussurri, inquietudini appena percepibili. Movimento e staticità sapientemente miscelate in una leggerezza cromatica di una profondità subliminale.
Riccardo Nencini
Contributo del Professor Salvatore Italia
Claudio Cionini rientra in quella categoria di artisti desiderosi di uscire dalle linee e dalle tendenze tradizionali attraverso la ricerca di un proprio linguaggio espressivo che possa costituire il tratto distintivo della loro arte.
Il pittore toscano ha rivolto la sua attenzione ai paesaggi urbani, visitati nelle loro diverse angolazioni. Nelle sue tele, prive di figure umane, le grandi città del mondo appaiono nella maestosità delle spettacolari arterie o nella suggestiva imponenza delle costruzioni. New York, Tokyo, Madrid, Parigi risplendono nella sfumata ricchezza di vedute da tutti conosciute, ma che l’artista riesce a rappresentare in una sequenza di emozioni singolarmente attraenti. E’ questo il linguaggio peculiare di Cionini, capace di offrire, con magnifica sapienza e dosaggio di colorazioni, le atmosfere, ora rarefatte, ora di superba dinamicità , che avvolgono tanto i rinomati centri storici quanto le desolanti periferie.
La mostra presso la Biblioteca Angelica di Roma vuole costituire, anzitutto, il meritato riconoscimento di una pubblica istituzione nei confronti di un artista di spiccata levatura, serio e attento in un lavoro di continua ricerca espressiva. Ma è anche una bella occasione per mostrare una mirabile e affascinante serie di opere.
Infine mi pare assai significativo l’omaggio che Cionini ha riservato a Roma con alcune opere, di straordinaria suggestione, dedicate ai luoghi più celebri della capitale.
Non possiamo che augurare al maestro toscano un cammino sempre più luminoso, peraltro già costellato di unanimi riconoscimenti da parte della critica nelle diverse rassegne a lui dedicate, nel variegato panorama dell’arte contemporanea del nostro Paese.
Salvatore Italia
Già Direttore generale nel Ministero per i beni culturali
"Sotto la Pelle delle Immagini" (Giovanni Faccenda)
«Poiché tutte le cose son piene della mia anima
emergi dalle cose, piene dell’anima mia.
Farfalla di sogno, rassomigli alla mia anima,
e rassomigli alla parola malinconia.»
Pablo Neruda
Pervasa da silenzi che echeggiano distinti umori esistenziali, la pittura di Claudio Cionini si mostra informata a una riflessione severa, non limitata al solo ambito estetico. Quanto contraddistingue, nella sostanza, il lavoro di un autore portato a indagare, della realtà, la dimensione più intima è, infatti, quella diffusa tensione lirica che abita scenari urbani, differenti per dominio geografico e tuttavia affini quali allusive ribalte teatrali per un genere di umanità accomunato da identiche trepidazioni, estese a varie latitudini.
Il progressivo consolidamento di un’identità pittorica, fra le più interessanti nel panorama contemporaneo, ha scandito in questi anni alcuni momenti emblematici dell’attività di Cionini, sollecitandone l’impegno verso orizzonti creativi sempre nuovi. Benché egli sia rimasto fedele a talune peculiarità stilistiche, che gli avevano assicurato l’interesse del pubblico e della critica agli esordi, nel tempo è cresciuta la varietà delle soluzioni espressive, tanto da arricchire di ulteriori contributi la fascinosa prospettiva delle tipiche inquadrature.
Strade, scorci, vedute aeree di città o metropoli, sono dunque diventati, per Cionini, invitanti territori di sfida per le sue cospicue doti. Ma più che i variegati profili, le trame, le diverse architetture, ciò che maggiormente continua ad attrarlo è quanto nascostamente abiti simili contesti in una profondità misteriosa e invisibile: fremiti talvolta lividi come la pelle del catrame o di ermetiche facciate che sigillano verità di case e di palazzi.
La ricercata essenzialità dell’impianto cromatico collima simbolica: come scarnificati nella loro consueta apparenza, i soggetti raggiungono intensità sentimentali inedite, suscitando, nella mente di chi guarda, impressioni mutevoli. Sobria è pure la materia che talora sfalda ordini visivi, accentuando un senso di disfacimento metaforico che racchiude, invero, altri indizi fecondi.
Basterebbe prendere spunto dall’omaggio reso recentemente a Roma da Cionini per comprendere come e quanto si sia dilatata la sua visione – del mondo, delle cose, degli uomini – e, di conseguenza, il pregiato sapore che caratterizza l’attualità dei suoi esiti: dipinti al cospetto dei quali è dato, oggi, di avvertire luoghi perlopiù mentali, ove, del loro originario riferimento fisico, non resta che il sorgivo afflato di uno spirito mantenutosi purissimo.
È allora altro la «città eterna» così come l’ha dipinta e ha saputo mostrarcela Cionini. Aree antiche e moderne, affrancate da ogni rigida attinenza temporale e topografica, sono a un tratto risorte in una luce aurorale accarezzata da suggestioni più pacate; è mutata la temperatura che arroventa lo sguardo di fronte a meraviglie immortali; si sono infine spente le voci, becere, che involgariscono parti e atteggiamenti insiti nella consueta farsa quotidiana.
In fondo, in questa Roma surreale, che fa pensare a Fellini e Antonioni più che a Pasolini e Moravia, è come se Cionini avesse trovato qualcosa di Berlino, Parigi e Londra in un curioso intrigo memoriale. La pittura, ai più estrosi, consente simili tragitti straordinari: quando è tale, anzi, li isola verso sommità destinate a rimanere, per molti, inaccessibili apici.
Firenze, agosto 2013.
"Anime d'acqua e cemento" (Paola Barbon)
Sono nata in una città dormitorio, alla fine degli anni Sessanta.
Una città grigia, con grappoli di condomini dalle forme sgraziate, cresciuti di fretta – ai miei occhi di bambina spuntavano magicamente in una sola notte – in maniera disarticolata, senza l’accenno di un piano regolatore. Una città senza alberi, senza prati, spesso pervasa dall’odore cattivo della chimica. Una città in cui crescere con giochi di cemento e asfalto. Una città sconosciuta, un nome-crocevia, buono solo da annunciare nella stazione dei treni come penultima fermata, una manciata di minuti prima dell’altra, sua bellissima sorella, città unica al mondo che le ha dato in prestito il nome, città immensa – questa sì – di ori e di bianchi abbaglianti, con una storia regale, meta vera dei viaggiatori, dove l’azzurro del cielo diventa liquido.
Una città, la mia, che ha cominciato a concepire i primi abbozzi di aree verdi quando io frequentavo ormai le scuole medie, invitando tutte le classi di bambini a disegnare spazi gioco ideali, futuri labirinti, altalene, parchi. Ho terminato l’Università mantenendo la segreta speranza che, da qualche parte, prima o poi il labirinto della Seconda C sarebbe stato realizzato. E ancora ricordavo bene il percorso esatto per arrivare alla torretta centrale e poi uscire (destra, destra, sinistra, destra…).
Una città che ancor oggi, seppur in gran parte ripulita ed abbellita, soffre zone di profondo degrado. Ma è la mia città, ed il cordone ombelicale è impossibile da recidere anche se te ne allontani. Per questo la mia anima è particolarmente legata a quella dei pittori che scelgono la città come soggetto delle proprie opere.
Perchè la città è difficile.
Perchè la città è cruda.
Perchè la città è monocromatica.
E comunque la guardi – con gli occhi bassi, posati sull’asfalto bollente nella calura estiva, o a volo d’uccello, sopra tetti irregolari nei cieli pungenti e infiniti di Gennaio – LEI vive. Negli ultimi anni il suo fascino continua ad attirare un numero sempre più cospicuo di artisti, come una donna sensuale da scoprire e conquistare poco a poco: uno sguardo sfuggente dietro i vetri dei palazzi, e braccia, e gambe, e dita lunghe come strade, segnate sulle nocche dalle cicatrici delle strisce pedonali, i capelli avvolti dalle nuvole, una bocca – rossa – nel lampo lucido di qualche vettura solitaria di passaggio.
Fugace.
Forte.
Graffiante.
Purtroppo, non tutti sono in grado di coglierla e di mostrarla come è realmente. Non basta sedersi a dipingere: è necessario sentirla dentro. E’ necessario averla vissuta, come un’impronta indelebile sulla pelle, sia essa metropoli dagli immensi viali, costeggiati da bianchi edifici lineari, sia essa groviglio di architetture industriali macchiate dalla ruggine, moderne foreste di alberi spezzati ed anneriti. E’ una regola non scritta che scorre nelle vene, è lo stesso motivo per cui l’odore del mare sprigiona meglio dalla tela se le mani di chi lo dipinge sono cresciute giocando con la sabbia.
Non è mai simpatico stilare classifiche di bravura o competenza, ma dal momento che io scrivo d’arte solo per passione, da collezionista invaghita e mai sazia, posso permettermi – a volte – qualcosa che è negato ai critici di professione, o agli addetti ai lavori, siano essi curatori o galleristi. Posso, secondo il mio gusto e la mia sensibilità, dividere i bravi dai meno bravi. Posso scegliere di non interessarmi al lavoro di chi, a mio giudizio, si intestardisce tristemente con pennelli e colori, quando magari sarebbe stato un eccellente panettiere. O pilota d’aereo. O ortopedico. Posso dire, senza paura di essere smentita da chi, per certo, ne sa più di me, che Claudio Cionini è – al contrario – decisamente da podio. Già ora, in giovane età, mentre lo sguardo sulle “sue” città è in continuo cambiamento, è mutevole, e quindi lanciato verso nuovi traguardi e nuove forme, come metallo fuso che si forgia, rinnovandosi.
Opere scelte, le sue, mai seriali, mai scontate, non facili da reperire, raffinate golosità per palati esigenti.
Claudio Cionini sa trasmettere. Con pochi colori: ocra, azzurro, grigio. Rosa, a volte. E qualche squarcio scuro. Ma danzanti tra loro, fusi nel vento che accarezza gli edifici, che trasporta l’umore salmastro delle acque, le polveri delle fabbriche inerti. Pochi colori che diventano velatura, trasparenza, oppure colatura, o densità improvvisa, o polla gorgogliante: gli occhi di chi osserva l’opera di Cionini non conoscono la noia. E’ un percorso da seguire: ora è lampo verticale, verso un cielo mai completamente terso, che cela bagliori come ricordi di vicine piogge; ora è volteggio orizzontale, ad inseguire presenze sconosciute. Mai si vede ombra umana nelle opere di Cionini, eppure trasudano in abbondanza di umanità, di fatiche, di sforzi. E di storia.
Grandi città, ancora assonnate, splendenti in livide albe, oppure madide di nebbia: dall’Europa del passato, secoli di pietre e di marmi, alle nuove lontane metropoli di vetro scintillante. E fabbriche, tante queste, abbandonate forse, o forse in notturna attesa di un abbraccio metallico tra corridoi ed impalcature: forgiate dalla mano dell’uomo e lasciate alla pura contemplazione, sospese nel tempo, come cattedrali diroccate, dalle immense navate aperte su un cielo senza più un dio.
Con mano sapiente Claudio Cionini accompagna chi si abbandona volontariamente alla sua città – chi la vuole respirare a fondo, quale unico visitatore privilegiato – riuscendo a svelare prospettive sempre nuove, mentre il viaggiatore incuriosito trattiene il fiato per non spezzare la magia del silenzio aleggiante, ed in punta di piedi attende qualcosa di sorprendente in fondo alla via, dietro l’ultimo angolo.
Venezia-Mestre, 19 Maggio 2013
Dal catalogo “Vision Beyond Form”
Ganzo – via de’ Macci 85/R, Firenze (2019)
VISIONE OLTRE LA FORMA - Un'esplorazione del Paesaggio Urbano
A cura degli studenti della Florence University of the Arts
Claudio Cionini vuole che le sue opere contengano un messaggio semplice, accessibile e accattivante, di facile comprensione. I suoi paesaggi urbani hanno l’obiettivo di tradurre l’emozione che ha provato mentre dipinge la scena e comunica ciò che attraverso gli occhi dell’artista riesce a percepire nel profondo, di fronte alle immagini della città. Il suo lavoro trasmette una visione personale e uno stile che, sviluppato nel tempo, raggiunge il pubblico in modo diretto, con le sue pennellate morbide e la prospettiva, che è poi la chiave per leggere le sue opere.
I dipinti di Cionini ti guidano lungo una strada, accanto ai grattacieli, seguendo la luce, fino al punto di fuga; le linee che compongno le forme trascinano lo spettatore nell’opera. La sua tecnica è una testimonianza dell’abilità affinata durante i suoi studi all’Accademia di Belle Arti di Firenze, dove è stato influenzato dal professor Adriano Bimbi. Lavora creando volumi di colore mutevoli e aree ruvide o graffiate a causa dell’imprevedibilità del metodo scelto.
Cionini inizia i suoi dipinti facendo riferimento a foto in cui cerca luce, prospettiva e composizione, come nei lavori del famoso fotografo Gabriele Basilico, che Cionini ammira tanto per la sua attenzione agli aspetti architettonici die paesaggi.
I dipinti di Cionini raramente includono figure, le auto sono occasionalmente incluse per aggiungere profondità, tuttavia è in grado trasmettere l’umore che le persone creano a causa delle caratteristiche artificiali dell’architettura e dell’industrializzazione. E per questo motivo, c’è una presenza umana che funge da messaggio subliminale dietro le file di edifici e strade che si intersecano. Scegliendo strategicamente di concentrarsi sulle città popolate, evoca le sensazioni che si provano vivendo quel luogo.
Cionini è attratto soprattutto dall’idea di una città universale, un’atmosfera plasmata dalla sua natura di essere uno spazio condiviso. E in questo modo, è meno importante dove sono colocati i suoi paesaggi, ed invece l’attenzione è rivolta alla luce e all’aria che circondano gli edifici.
Dal catalogo “Vision Beyond Form”
Ganzo – via de’ Macci 85/R, Firenze (2019)
Dal catalogo “Vision Beyond Form”
Ganzo – via de’ Macci 85/R, Firenze (2019)
VISIONE OLTRE LA FORMA - Un'esplorazione del Paesaggio Urbano
A cura degli studenti della Florence University of the Arts
Claudio Cionini vuole che le sue opere contengano un messaggio semplice, accessibile e accattivante, di facile comprensione. I suoi paesaggi urbani hanno l’obiettivo di tradurre l’emozione che ha provato mentre dipinge la scena e comunica ciò che attraverso gli occhi dell’artista riesce a percepire nel profondo, di fronte alle immagini della città. Il suo lavoro trasmette una visione personale e uno stile che, sviluppato nel tempo, raggiunge il pubblico in modo diretto, con le sue pennellate morbide e la prospettiva, che è poi la chiave per leggere le sue opere.
I dipinti di Cionini ti guidano lungo una strada, accanto ai grattacieli, seguendo la luce, fino al punto di fuga; le linee che compongno le forme trascinano lo spettatore nell’opera. La sua tecnica è una testimonianza dell’abilità affinata durante i suoi studi all’Accademia di Belle Arti di Firenze, dove è stato influenzato dal professor Adriano Bimbi. Lavora creando volumi di colore mutevoli e aree ruvide o graffiate a causa dell’imprevedibilità del metodo scelto.
Cionini inizia i suoi dipinti facendo riferimento a foto in cui cerca luce, prospettiva e composizione, come nei lavori del famoso fotografo Gabriele Basilico, che Cionini ammira tanto per la sua attenzione agli aspetti architettonici die paesaggi.
I dipinti di Cionini raramente includono figure, le auto sono occasionalmente incluse per aggiungere profondità, tuttavia è in grado trasmettere l’umore che le persone creano a causa delle caratteristiche artificiali dell’architettura e dell’industrializzazione. E per questo motivo, c’è una presenza umana che funge da messaggio subliminale dietro le file di edifici e strade che si intersecano. Scegliendo strategicamente di concentrarsi sulle città popolate, evoca le sensazioni che si provano vivendo quel luogo.
Cionini è attratto soprattutto dall’idea di una città universale, un’atmosfera plasmata dalla sua natura di essere uno spazio condiviso. E in questo modo, è meno importante dove sono colocati i suoi paesaggi, ed invece l’attenzione è rivolta alla luce e all’aria che circondano gli edifici.
Dal catalogo “RUST! Fabbrica-Città-Memoria”
Pontedera, Museo Piaggio, 24 Settembre – 22 Ottobre 2011
"RUST! La pellicola del ricordo" (Giovanna M. Carli)
Il tipico colore bruno-rossiccio è quello della ruggine, una reazione chimica possibile grazie all’acqua e all’ossigeno. La ruggine attacca, corrode. È il colore della memoria, del tempo che pare fermarsi, di quella resa di coscienza di fronte all’immaginazione: Guardo, mi metto in ascolto. Pausa.
Riassumere in questo modo la poetica di Claudio Cionini non sarebbe riduttivo, sarebbe suggestivo. Mi piacerebbe lasciare al lettore la curiosità di mettersi in gioco guardando le ultime creazioni dell’autore. Tuttavia non posso non suggerire delle linee guida e presentare delle considerazioni critiche sull’opera con la convinzione che sia maggiormente utile un approccio empatico seguito da una consapevolezza che si nutre della conoscenza del percorso umano e artistico dell’autore anziché la sola intuizione visiva.
Il giovane artista, nato in un luogo che ha scritti nella memoria visiva e la fabbrica e la città come fosse un’endiadi, e per il quale potremmo parlare di un tempo scandito dalla fabbrica che vince sulla città, è cresciuto a contatto con i riflessi che la luce naturale intreccia col mare (Il mare di Piombino, 2011), in un gioco di rimandi continui, dove il sole si tuffa e l’acqua diventa luce e cielo insieme, e con quella polvere ferrosa, sottile sulle braccia che, aspettando un imbarco, ti riveste come una pellicola. Da qui le dominanti della sua arte, praticata con il cuore: le colature di colore, di ruggine, di ferro, la sabbia (è bello osservare in luce radente quanta materia ci sia sui suoi dipinti!).
Ed è proprio quella patina del ricordo che oggi Cionini trasferisce sopra il lavoro pittorico con una tecnica che attacca come la ruggine che, come ricordano Neil Young e i Crazy Horse, “non dorme mai”. Rust never sleeps è, infatti, il titolo dell’album del 1979 considerato tra i più importanti della storia del rock.
Il progetto ha mosso i suoi passi dalla lettura dell’opera prima di Silvia Avallone e in particolare da alcuni brani tratti dal romanzo in cui si evidenzia, poeticamente, l’acciaieria vista come luogo di riflessione nel rapporto uomo-macchina-lavoro: “Un intero zoo: nel cielo svettavano torri merlate, gru di ogni genere e specie. Animali arrugginiti dalle teste cornute… La melma densa e nera del metallo fuso ribolliva nelle siviere, barili panciuti trasportati dai treni siluro. Cisterne munite di ruote che assomigliavano a creature primordiali… Non c’era il cielo. C’era una voliera. Le fiamme viola dei forni, i bracci delle gru, le tonnellate dei metalli imbragati ai becchi dei paranchi…” (Silvia Avallone, Acciaio, 2010, pp.22 e 24).
Anche nell’arte visiva di Cionini la città e la fabbrica sono viste come simboli e punti di riferimento per la creazione di immagini che, pur prendendo spunto dal reale, lo reinterpretano in modo originale, creando volumi e vie di fuga necessarie con l’ausilio di slavature cromatiche e di tonalità ferrigne, rugginose.
L’atmosfera del ricordo suggerisce allo spettatore un viaggio all’interno delle contraddizioni che regolano l’incessante scorrere del tempo che neppure la più sofisticata tecnologia potrà mai fermare. La pittura sì.
Questo lavoro propone oltre cinquanta opere inedite pensate per il Museo Piaggio e per la Vespa, una vera superstar alla guisa di Marilyn Monroe, mezzo per un viaggio in giro per il mondo. Anche Claudio Cionini è innamorato di uno dei simboli della spensieratezza, accattivante nelle forme e, da subito, fonte di ispirazione per itinerari all’insegna della libertà.
L’artista ne propone tre versioni con modelli e colori diversi (Vespa-rust, color ruggine, Vespa-red e Vespa-white).
La prima rientra nella produzione artistica di ‘archeologia industriale’ tanto amata dall’autore che trova, nei luoghi della fabbrica dimenticata o a riposo, momenti di struggente poetica e di empatica adesione sentimentale, mentre la Vespa bianca è l’omaggio di pura poesia stagliato in un paesaggio quasi lunare.
La Vespa rossa, invece, è la risposta dell’artista alla voglia di evasione che lo conduce sempre più lontano, nei luoghi del mondo, a compiere la sua formazione da talentuoso pittore dell’anno Duemila con uno sguardo a un antico ‘grand tour’, il viaggio praticato nel Settecento dai giovani dell’aristocrazia per la propria formazione culturale; come Giovanni Piranesi che compì così la sua storia di artista giunta all’acme con le sedici tavole eseguite tra il 1745 e il 1750: Carceri, soggetti di pura invenzione in cui seppe dimostrare una notevole capacità immaginativa nell’innata attitudine a disegnare sotterranei con scale, intrecci di linee, ma anche grandiosi macchinari, da vero precursore dell’archeologia industriale.
La poesia e la struggente visione di città, di fabbrica o del risultato di essa (la Vespa!) sono trasferite in sfondi irreali non dimentichi della componente emotiva, romantica (slavature cromatiche, ruggine, come colori dell’emozione visiva).
L’architettura urbana è un pretesto felice che si presta al gioco di instaurare un rapporto dialettico con lo spettatore. A Cionini interessano le vie di fuga, i volumi, la luce, anzi come essa modifica i volumi stessi.
Ultimamente l’autore dipinge e agisce sui grandi formati e la sua tavolozza risulta decisamente schiarita, più luminosa.
Il suo linguaggio, sempre più sicuro nella scelta dei vocaboli, si esprime con una sintassi abbreviata che usa il mezzo dell’analogia per suggerire un percorso dei sensi. Lo spettatore è, così, accompagnato alla visione di un’immagine appena accennata per la vicinanza di una simile definita con un tratto deciso. Lingue di asfalto bagnato dalla pioggia dialogano con le strisciate dei pneumatici visibili sulla strada grigio azzurra che qualcuno intravede oltre le finestre (Trias. Berlino, 2011).
L’artista suggerisce volumi come fossero scatole. I grattacieli di città che fanno parte dell’immaginario visivo di tutti noi, grazie alla televisione, al cinema, alla fotografia, all’arte visiva, a internet, sono riassunti emotivamente con altezze diverse, con parallelepipedi in scorcio, spesso visti dall’alto (Los Angeles, 2011).
Un bagno di luce interessa la maggior parte delle opere di ultima gestazione: il tramonto, la luce artificiale dei neon nella notte metropolitana, l’incanto della luce naturale, chiarori a illuminare lo sfondo. La luce come mezzo di espressione per evidenziare la struttura di un oggetto e suggerirne la tridimensionalità e per comunicare stati d’animo, potenziando l’effetto di profondità spaziale (Gran Via. Madrid, 2011). Una forte luminosità pittorica è, invece, ottenuta nel dipinto Acciaierie a Piombino, 2011. L’uso dei colori puri e l’impiego di colori freddi (blu-viola, verde e rosso-arancio, i colori detti luce), tecnica di chiara matrice impressionista, – Il Parlamento di Londra raffigurato alla luce del mattino (1900-1901) di Claude Monet ne può essere l’esempio più alto – ricrea la luce bianca…
Claudio Cionini trae, dunque, ispirazione dai viaggi, dagli incontri, dai contatti con quella gente che non vuole dipingere ma solo evocare attraverso la fabbrica, la città, ma anche dalla grande pittura del passato, dal cinema e dalla fotografia.
Lo studio dal vero, schizzando e dipingendo ‘en plein air e lo studio e la pittura eseguiti nel suo atelier, anche con l’ausilio delle nuove tecnologie (internet, foto digitali etc…) sono due tipi di approccio differenti per un medesimo credo e sentimento: l’amore per il disegno, per la composizione di un’opera, per il peso dei colori e della luce e l’interesse per i volumi, quei volumi di fabbrica e di città che dettano le sue visioni e che catturano la nostra immaginazione.
La genesi di un’opera spesso nasce da una fotografia (sua o di altri, non importa, dichiara lui stesso di sentirsi ispirato dagli scatti di Gabriele Basilico) e da un taccuino nel quale rapidi schizzi hanno evidenziato ‘oggetti’ interessanti e accostamenti sorprendenti. Un modo per fermare l’idea prima che questa se ne voli via.
Disegnare gli ingressi delle varie città del mondo, o suggerire scorci panoramici verso i monumenti principali o assurgere a protagonista brani di archeologia industriale è la ricerca che in questo momento maggiormente convince l’artista. È l’architettura il centro della sua opera sia intesa come edificio che come emergenza urbana e urbanistica insieme con il silenzio ossia quella dimensione di ascolto, definizione presa in prestito dalla critica su Hopper. Una dimensione gravida di attesa dove tutto, ma veramente tutto, può ancora accadere.
"Sogni e visioni nelle città visibili di Cionini" (Riccardo Ferrucci)
La pittura e l’arte contemporanea sono un universo variegato aperto a esperienze e sollecitazioni diverse, ogni autore cerca un proprio modo per raffigurare e rapportarsi con la realtà ed il proprio tempo. L’arte diventa sempre di più un’esperienza che coinvolge più linguaggi artistici e che cerca un modo diverso per comunicare sentimenti ed emozioni. Claudio Cionini non sfugge a questa regola e la sua attività artistica che si sviluppa, con rara coerenza, a partire dagli anni duemila fino ad oggi non ha mai smesso di ricercare stili e forme poetiche nuove che riescano a produrre inedite modalità comunicative e originali creazioni artistiche.
Il viaggio nell’arte di Claudio Cionini è tutto vissuto sotto il segno della leggerezza, quella indicata da Italo Calvino nelle Lezioni americane: “La mia operazione è stata il più delle volte una sottrazione di peso; ho cercato di togliere peso ora alle figure umane, ora ai corpi celesti, ora alle città; soprattutto ho cercato di togliere peso alla struttura del racconto e al linguaggio”.
Nella pittura Cionini compie un’analoga operazione cercando una sua strada verso la leggerezza, togliendo peso alle strutture formali, riducendo i toni cromatici, cercando una pittura dell’essenzialità. È una strada verso la lievità ed il sogno, costruendo un personale viaggio che recupera il senso del tempo e della storia aprendosi ad un’assoluta modernità. La sua arte ha la dimensione evocativa della musica, i tempi ed i ritmi sospesi di un canto, di un suono che nasce e muore dalle cose, modificando continuamente gesti e segni.
È una dimensione circolare quella che propone l’artista nel suo cammino attraverso opere e cicli di opere che si ripetono, inseguendosi e richiamandosi, con sottili e significative variazioni cromatiche e segniche; quasi ad evocare una dimensione enigmatica dell’arte: tutto si riproduce e si ripete, ma tutto contemporaneamente cambia e muta ogni volta.
Le immagini metafisiche, quasi in assenza di peso, delle acciaierie di Piombino, di New York, Londra, Madrid, Melbourne, diventano una sorta di viaggio interiore in luoghi dell’anima, in spazi vuoti di presenze umane, ma carichi di significati simbolici ed emotivi: un canto interiore che trova nelle strade, nei grattacieli, nelle luci notturne una sorta di moderno cantico della civiltà. Come afferma Marco Polo in “Le città invisibili” di Calvino: “Le immagini della memoria una volta fissate con le parole, si cancellano. Forse Venezia ha paura di perderla tutta in una volta, se ne parlo. O forse, parlando di altre città, l’ho già perduta a poco a poco”.
Anche Cionini fissa con le immagini i ricordi e le visioni delle sue città, ricordiamo in particolare il suo viaggio nei muri di Berlino, ma una volta messe sulla tela, la consistenza delle città sembra sul punto di dissolversi e diventare un viaggio interiore in un mondo carico di incertezza, apparizioni e scomparse. La bellezza di questi luoghi contiene anche un senso di fragilità, di miraggio e infinita lontananza.
L’artista è un eterno viaggiatore che varca i confini del linguaggio per dare voce al silenzio, a ciò che non ha ancora parola, per trovare un senso nel caos contemporaneo e varcare di continuo le porte ed i limiti del sapere e della conoscenza: è l’altrove, il mistero lontano, come quello del recente viaggio a Berlino, che muove la creazione e spinge l’artista ad interrogarsi sul futuro e su quello che potrà accadere domani, con lo stupore meraviglioso di un bambino che scopre ogni volta, giorno dopo giorno, la vita e l’amore, come se tutto si potesse reinventare a ogni istante.
Nelle parole dell’artista ritroviamo le ragioni della sua pittura: ”La figura umana occupa spazi marginali, spesso è solo accennata come un’ombra lontana. Nella mia visione del paesaggio è un luogo reale il protagonista. Attraverso di lui si può percepire la storia, le storie, e si può pensare comunque all’uomo”.
Le sue città visibili – invisibili sono le assolute protagoniste della scena, diventano un registro privato di emozioni e sentimenti: un diario dove annotare paure e silenzi, ma anche desideri di vita e amore dell’uomo.
Dal catalogo
“RUST! Fabbrica-Città-Memoria”
Pontedera, Museo Piaggio
24 Settembre – 22 Ottobre 2011
"RUST! La pellicola del ricordo" (Giovanna M. Carli)
Il tipico colore bruno-rossiccio è quello della ruggine, una reazione chimica possibile grazie all’acqua e all’ossigeno. La ruggine attacca, corrode. È il colore della memoria, del tempo che pare fermarsi, di quella resa di coscienza di fronte all’immaginazione: Guardo, mi metto in ascolto. Pausa.
Riassumere in questo modo la poetica di Claudio Cionini non sarebbe riduttivo, sarebbe suggestivo. Mi piacerebbe lasciare al lettore la curiosità di mettersi in gioco guardando le ultime creazioni dell’autore. Tuttavia non posso non suggerire delle linee guida e presentare delle considerazioni critiche sull’opera con la convinzione che sia maggiormente utile un approccio empatico seguito da una consapevolezza che si nutre della conoscenza del percorso umano e artistico dell’autore anziché la sola intuizione visiva.
Il giovane artista, nato in un luogo che ha scritti nella memoria visiva e la fabbrica e la città come fosse un’endiadi, e per il quale potremmo parlare di un tempo scandito dalla fabbrica che vince sulla città, è cresciuto a contatto con i riflessi che la luce naturale intreccia col mare (Il mare di Piombino, 2011), in un gioco di rimandi continui, dove il sole si tuffa e l’acqua diventa luce e cielo insieme, e con quella polvere ferrosa, sottile sulle braccia che, aspettando un imbarco, ti riveste come una pellicola. Da qui le dominanti della sua arte, praticata con il cuore: le colature di colore, di ruggine, di ferro, la sabbia (è bello osservare in luce radente quanta materia ci sia sui suoi dipinti!).
Ed è proprio quella patina del ricordo che oggi Cionini trasferisce sopra il lavoro pittorico con una tecnica che attacca come la ruggine che, come ricordano Neil Young e i Crazy Horse, “non dorme mai”. Rust never sleeps è, infatti, il titolo dell’album del 1979 considerato tra i più importanti della storia del rock.
Il progetto ha mosso i suoi passi dalla lettura dell’opera prima di Silvia Avallone e in particolare da alcuni brani tratti dal romanzo in cui si evidenzia, poeticamente, l’acciaieria vista come luogo di riflessione nel rapporto uomo-macchina-lavoro: “Un intero zoo: nel cielo svettavano torri merlate, gru di ogni genere e specie. Animali arrugginiti dalle teste cornute… La melma densa e nera del metallo fuso ribolliva nelle siviere, barili panciuti trasportati dai treni siluro. Cisterne munite di ruote che assomigliavano a creature primordiali… Non c’era il cielo. C’era una voliera. Le fiamme viola dei forni, i bracci delle gru, le tonnellate dei metalli imbragati ai becchi dei paranchi…” (Silvia Avallone, Acciaio, 2010, pp.22 e 24).
Anche nell’arte visiva di Cionini la città e la fabbrica sono viste come simboli e punti di riferimento per la creazione di immagini che, pur prendendo spunto dal reale, lo reinterpretano in modo originale, creando volumi e vie di fuga necessarie con l’ausilio di slavature cromatiche e di tonalità ferrigne, rugginose.
L’atmosfera del ricordo suggerisce allo spettatore un viaggio all’interno delle contraddizioni che regolano l’incessante scorrere del tempo che neppure la più sofisticata tecnologia potrà mai fermare. La pittura sì.
Questo lavoro propone oltre cinquanta opere inedite pensate per il Museo Piaggio e per la Vespa, una vera superstar alla guisa di Marilyn Monroe, mezzo per un viaggio in giro per il mondo. Anche Claudio Cionini è innamorato di uno dei simboli della spensieratezza, accattivante nelle forme e, da subito, fonte di ispirazione per itinerari all’insegna della libertà.
L’artista ne propone tre versioni con modelli e colori diversi (Vespa-rust, color ruggine, Vespa-red e Vespa-white).
La prima rientra nella produzione artistica di ‘archeologia industriale’ tanto amata dall’autore che trova, nei luoghi della fabbrica dimenticata o a riposo, momenti di struggente poetica e di empatica adesione sentimentale, mentre la Vespa bianca è l’omaggio di pura poesia stagliato in un paesaggio quasi lunare.
La Vespa rossa, invece, è la risposta dell’artista alla voglia di evasione che lo conduce sempre più lontano, nei luoghi del mondo, a compiere la sua formazione da talentuoso pittore dell’anno Duemila con uno sguardo a un antico ‘grand tour’, il viaggio praticato nel Settecento dai giovani dell’aristocrazia per la propria formazione culturale; come Giovanni Piranesi che compì così la sua storia di artista giunta all’acme con le sedici tavole eseguite tra il 1745 e il 1750: Carceri, soggetti di pura invenzione in cui seppe dimostrare una notevole capacità immaginativa nell’innata attitudine a disegnare sotterranei con scale, intrecci di linee, ma anche grandiosi macchinari, da vero precursore dell’archeologia industriale.
La poesia e la struggente visione di città, di fabbrica o del risultato di essa (la Vespa!) sono trasferite in sfondi irreali non dimentichi della componente emotiva, romantica (slavature cromatiche, ruggine, come colori dell’emozione visiva).
L’architettura urbana è un pretesto felice che si presta al gioco di instaurare un rapporto dialettico con lo spettatore. A Cionini interessano le vie di fuga, i volumi, la luce, anzi come essa modifica i volumi stessi.
Ultimamente l’autore dipinge e agisce sui grandi formati e la sua tavolozza risulta decisamente schiarita, più luminosa.
Il suo linguaggio, sempre più sicuro nella scelta dei vocaboli, si esprime con una sintassi abbreviata che usa il mezzo dell’analogia per suggerire un percorso dei sensi. Lo spettatore è, così, accompagnato alla visione di un’immagine appena accennata per la vicinanza di una simile definita con un tratto deciso. Lingue di asfalto bagnato dalla pioggia dialogano con le strisciate dei pneumatici visibili sulla strada grigio azzurra che qualcuno intravede oltre le finestre (Trias. Berlino, 2011).
L’artista suggerisce volumi come fossero scatole. I grattacieli di città che fanno parte dell’immaginario visivo di tutti noi, grazie alla televisione, al cinema, alla fotografia, all’arte visiva, a internet, sono riassunti emotivamente con altezze diverse, con parallelepipedi in scorcio, spesso visti dall’alto (Los Angeles, 2011).
Un bagno di luce interessa la maggior parte delle opere di ultima gestazione: il tramonto, la luce artificiale dei neon nella notte metropolitana, l’incanto della luce naturale, chiarori a illuminare lo sfondo. La luce come mezzo di espressione per evidenziare la struttura di un oggetto e suggerirne la tridimensionalità e per comunicare stati d’animo, potenziando l’effetto di profondità spaziale (Gran Via. Madrid, 2011). Una forte luminosità pittorica è, invece, ottenuta nel dipinto Acciaierie a Piombino, 2011. L’uso dei colori puri e l’impiego di colori freddi (blu-viola, verde e rosso-arancio, i colori detti luce), tecnica di chiara matrice impressionista, – Il Parlamento di Londra raffigurato alla luce del mattino (1900-1901) di Claude Monet ne può essere l’esempio più alto – ricrea la luce bianca…
Claudio Cionini trae, dunque, ispirazione dai viaggi, dagli incontri, dai contatti con quella gente che non vuole dipingere ma solo evocare attraverso la fabbrica, la città, ma anche dalla grande pittura del passato, dal cinema e dalla fotografia.
Lo studio dal vero, schizzando e dipingendo ‘en plein air e lo studio e la pittura eseguiti nel suo atelier, anche con l’ausilio delle nuove tecnologie (internet, foto digitali etc…) sono due tipi di approccio differenti per un medesimo credo e sentimento: l’amore per il disegno, per la composizione di un’opera, per il peso dei colori e della luce e l’interesse per i volumi, quei volumi di fabbrica e di città che dettano le sue visioni e che catturano la nostra immaginazione.
La genesi di un’opera spesso nasce da una fotografia (sua o di altri, non importa, dichiara lui stesso di sentirsi ispirato dagli scatti di Gabriele Basilico) e da un taccuino nel quale rapidi schizzi hanno evidenziato ‘oggetti’ interessanti e accostamenti sorprendenti. Un modo per fermare l’idea prima che questa se ne voli via.
Disegnare gli ingressi delle varie città del mondo, o suggerire scorci panoramici verso i monumenti principali o assurgere a protagonista brani di archeologia industriale è la ricerca che in questo momento maggiormente convince l’artista. È l’architettura il centro della sua opera sia intesa come edificio che come emergenza urbana e urbanistica insieme con il silenzio ossia quella dimensione di ascolto, definizione presa in prestito dalla critica su Hopper. Una dimensione gravida di attesa dove tutto, ma veramente tutto, può ancora accadere.
"Sogni e visioni nelle città visibili di Cionini" (Riccardo Ferrucci)
La pittura e l’arte contemporanea sono un universo variegato aperto a esperienze e sollecitazioni diverse, ogni autore cerca un proprio modo per raffigurare e rapportarsi con la realtà ed il proprio tempo. L’arte diventa sempre di più un’esperienza che coinvolge più linguaggi artistici e che cerca un modo diverso per comunicare sentimenti ed emozioni. Claudio Cionini non sfugge a questa regola e la sua attività artistica che si sviluppa, con rara coerenza, a partire dagli anni duemila fino ad oggi non ha mai smesso di ricercare stili e forme poetiche nuove che riescano a produrre inedite modalità comunicative e originali creazioni artistiche.
Il viaggio nell’arte di Claudio Cionini è tutto vissuto sotto il segno della leggerezza, quella indicata da Italo Calvino nelle Lezioni americane: “La mia operazione è stata il più delle volte una sottrazione di peso; ho cercato di togliere peso ora alle figure umane, ora ai corpi celesti, ora alle città; soprattutto ho cercato di togliere peso alla struttura del racconto e al linguaggio”.
Nella pittura Cionini compie un’analoga operazione cercando una sua strada verso la leggerezza, togliendo peso alle strutture formali, riducendo i toni cromatici, cercando una pittura dell’essenzialità. È una strada verso la lievità ed il sogno, costruendo un personale viaggio che recupera il senso del tempo e della storia aprendosi ad un’assoluta modernità. La sua arte ha la dimensione evocativa della musica, i tempi ed i ritmi sospesi di un canto, di un suono che nasce e muore dalle cose, modificando continuamente gesti e segni.
È una dimensione circolare quella che propone l’artista nel suo cammino attraverso opere e cicli di opere che si ripetono, inseguendosi e richiamandosi, con sottili e significative variazioni cromatiche e segniche; quasi ad evocare una dimensione enigmatica dell’arte: tutto si riproduce e si ripete, ma tutto contemporaneamente cambia e muta ogni volta.
Le immagini metafisiche, quasi in assenza di peso, delle acciaierie di Piombino, di New York, Londra, Madrid, Melbourne, diventano una sorta di viaggio interiore in luoghi dell’anima, in spazi vuoti di presenze umane, ma carichi di significati simbolici ed emotivi: un canto interiore che trova nelle strade, nei grattacieli, nelle luci notturne una sorta di moderno cantico della civiltà. Come afferma Marco Polo in “Le città invisibili” di Calvino: “Le immagini della memoria una volta fissate con le parole, si cancellano. Forse Venezia ha paura di perderla tutta in una volta, se ne parlo. O forse, parlando di altre città, l’ho già perduta a poco a poco”.
Anche Cionini fissa con le immagini i ricordi e le visioni delle sue città, ricordiamo in particolare il suo viaggio nei muri di Berlino, ma una volta messe sulla tela, la consistenza delle città sembra sul punto di dissolversi e diventare un viaggio interiore in un mondo carico di incertezza, apparizioni e scomparse. La bellezza di questi luoghi contiene anche un senso di fragilità, di miraggio e infinita lontananza.
L’artista è un eterno viaggiatore che varca i confini del linguaggio per dare voce al silenzio, a ciò che non ha ancora parola, per trovare un senso nel caos contemporaneo e varcare di continuo le porte ed i limiti del sapere e della conoscenza: è l’altrove, il mistero lontano, come quello del recente viaggio a Berlino, che muove la creazione e spinge l’artista ad interrogarsi sul futuro e su quello che potrà accadere domani, con lo stupore meraviglioso di un bambino che scopre ogni volta, giorno dopo giorno, la vita e l’amore, come se tutto si potesse reinventare a ogni istante.
Nelle parole dell’artista ritroviamo le ragioni della sua pittura: ”La figura umana occupa spazi marginali, spesso è solo accennata come un’ombra lontana. Nella mia visione del paesaggio è un luogo reale il protagonista. Attraverso di lui si può percepire la storia, le storie, e si può pensare comunque all’uomo”.
Le sue città visibili – invisibili sono le assolute protagoniste della scena, diventano un registro privato di emozioni e sentimenti: un diario dove annotare paure e silenzi, ma anche desideri di vita e amore dell’uomo.
Dal Catalogo della mostra “Scorci di Verità”
Arezzo, Galleria Comunale d’Arte Contemporanea
26 Marzo – 2 Maggio 2010
"Scorci di verità nella pittura di Claudio Cionini" (di Giovanni Faccenda)
Lo so: avrò io sempre un’ombra
anche se il sogno è questo
e il murmure non sembri
dare gridi
Giovanni Testori, I Trionfi (1965)
Da quando mi occupo di Claudio Cionini – e sono ormai quattro o cinque anni – un nome, in particolare, ho sempre avuto timore di pronunciarlo. Troppo grande – ancora, forse – per un giovane autore che deve confermarsi; azzardato, dunque, e persino ingombrante, anche per un talento purissimo, suscitato da straordinarie ricchezze interiori e al tempo stesso scosso da urgenze inarrestabili.
Detto questo, l’accostamento al sommo Antonio López Garcia (Tomelloso, 1936), può, nella considerazione di qualcuno, apparire al momento assai stonato, pensando soprattutto a quale eccellenza di pittura abbia contraddistinto la storia di questo maestro, tra i maggiori nell’arte degli ultimi cinquant’anni.
Eppure, un riferimento iconografico – quello con il quale abbiamo deciso di illustrare questa pagina – ci mostra, se non altro, una sorprendente vicinanza sentimentale per certi motivi. «Sorprendente», perché credo che Cionini conosca soltanto superficialmente il lavoro di López Garcia e, comunque, altri sono gli artisti che – chiamato ad indicarli – egli cita tra i suoi preferiti.
Così, quelle strade e quei palazzi, prima assimilati mentalmente, poi cancellati e infine risorti in lui con singolari suggestioni liriche, mantengono una autenticità ideativa che vibra nelle sue molteplici manifestazioni, al volgere di un realismo, oggi principalmente insistito in ambito metropolitano, da ritenere nota rilevante fra le rare emergenze, davvero interessanti, dello scenario contemporaneo.
C’è semmai da osservare, nell’organico percorso espressivo che Cionini ha sin qui condotto, affascinato da alcuni oscuri fermenti evocativi ugualmente avvertiti a Milano, Parigi e Berlino, una più profonda ed estesa analisi esistenziale che continua a prendere progressivamente corpo, dispiegandosi con toccante intensità nel susseguirsi sorvegliato di opere, da intendere ora, diversamente da quanto era accaduto in passato, come tessere – ognuna insostituibile – di un ideale mosaico.
La vita, e tutto quello che ne concerne, vi scorre dentro come il sangue nelle viscere. Scopri, all’ombra di case che nascondono chissà quali segreti, un misto di speranze ed inquietudini in cui è facile indovinare comunanza di destini. E gli uomini, nei dipinti di Cionini, quasi scompaiono con le proprie vergogne, inceneriti dai mille turbamenti che scandiscono le lunghe ore del quotidiano, in quel deserto di umanità che, sottovoce, con visione allusiva, simili immagini non smettono di parteciparci.
Sciama, in questi suoi scorci di verità, una condizione umana identica a varie latitudini; di più, la presa di coscienza di un male interno che elude, perfido, ogni nostra difesa immunitaria, nel breve itinerario verso una esteriorità dai più taciuta. Giorni sempre uguali nel tempo, di una sofferta quanto invincibile monotonia, si perpetuano in pittura. Cionini sa bene che non è questione di stagioni, ore o differenti condizioni meteorologiche. È scritto che a nessuno sia dato di arrivare in Paradiso con gli occhi asciutti.
Allora, anche quelle colature che tanto ne caratterizzano il gesto, assumono un senso, si emancipano rispetto a taluni rimandi che potrebbero essere visti come strumentali, affermando, dunque, la cosciente volontà di un artista attento alle sfumature, ai minuscoli dettagli che nobilitano, possono nobilitare, un’opera d’arte come la stessa esistenza.
Se, in un mio testo di qualche tempo fa, avevo ritenuto di ipotizzare il possibile apprezzamento di Giovanni Testori per il lavoro di Cionini, è perché ho lucida memoria di cosa davvero stesse a cuore a questo straordinario intellettuale: la bellezza, la poesia, la pittura di scavo. Per tali, elevatissime ragioni, la trepidante investigazione del pittore nella dimensione immateriale – là dove si annidano fremiti umani indicibili – avrebbe certo riscosso il consenso di chi, come Testori, sapeva la verità ultima custodita in uno scrigno invisibile, di cui certo chiarore opalescente è spesso indizio sublime.
La mente, rapida, corre a quella luminosità diffusa, ora lattiginosa ora madreperlacea, che abita i languidi cieli di Cionini, nel consueto avverarsi di struggenti rivelazioni sospese a mezz’aria, un bagliore che diventa propedeutico e, improvvisamente, persino – diresti – catartico, rispetto ad una realtà matrigna cucita addosso a muri fradici di dolente rassegnazione, nell’attonita attesa di qualcosa che già incombe.
È, questo, uno degli arcani presagi che Cionini ci affida in silenzio, nel divenire sempre più maturo di un impegno, a cui non fa difetto una cospicua severità.
Firenze, marzo 2010.
"Sogni e visioni nelle città visibili di Cionini" (Riccardo Ferrucci)
La pittura e l’arte contemporanea sono un universo variegato aperto a esperienze e sollecitazioni diverse, ogni autore cerca un proprio modo per raffigurare e rapportarsi con la realtà ed il proprio tempo. L’arte diventa sempre di più un’esperienza che coinvolge più linguaggi artistici e che cerca un modo diverso per comunicare sentimenti ed emozioni. Claudio Cionini non sfugge a questa regola e la sua attività artistica che si sviluppa, con rara coerenza, a partire dagli anni duemila fino ad oggi non ha mai smesso di ricercare stili e forme poetiche nuove che riescano a produrre inedite modalità comunicative e originali creazioni artistiche.
Il viaggio nell’arte di Claudio Cionini è tutto vissuto sotto il segno della leggerezza, quella indicata da Italo Calvino nelle Lezioni americane: “La mia operazione è stata il più delle volte una sottrazione di peso; ho cercato di togliere peso ora alle figure umane, ora ai corpi celesti, ora alle città; soprattutto ho cercato di togliere peso alla struttura del racconto e al linguaggio”.
Nella pittura Cionini compie un’analoga operazione cercando una sua strada verso la leggerezza, togliendo peso alle strutture formali, riducendo i toni cromatici, cercando una pittura dell’essenzialità. È una strada verso la lievità ed il sogno, costruendo un personale viaggio che recupera il senso del tempo e della storia aprendosi ad un’assoluta modernità. La sua arte ha la dimensione evocativa della musica, i tempi ed i ritmi sospesi di un canto, di un suono che nasce e muore dalle cose, modificando continuamente gesti e segni.
È una dimensione circolare quella che propone l’artista nel suo cammino attraverso opere e cicli di opere che si ripetono, inseguendosi e richiamandosi, con sottili e significative variazioni cromatiche e segniche; quasi ad evocare una dimensione enigmatica dell’arte: tutto si riproduce e si ripete, ma tutto contemporaneamente cambia e muta ogni volta.
Le immagini metafisiche, quasi in assenza di peso, delle acciaierie di Piombino, di New York, Londra, Madrid, Melbourne, diventano una sorta di viaggio interiore in luoghi dell’anima, in spazi vuoti di presenze umane, ma carichi di significati simbolici ed emotivi: un canto interiore che trova nelle strade, nei grattacieli, nelle luci notturne una sorta di moderno cantico della civiltà. Come afferma Marco Polo in “Le città invisibili” di Calvino: “Le immagini della memoria una volta fissate con le parole, si cancellano. Forse Venezia ha paura di perderla tutta in una volta, se ne parlo. O forse, parlando di altre città, l’ho già perduta a poco a poco”.
Anche Cionini fissa con le immagini i ricordi e le visioni delle sue città, ricordiamo in particolare il suo viaggio nei muri di Berlino, ma una volta messe sulla tela, la consistenza delle città sembra sul punto di dissolversi e diventare un viaggio interiore in un mondo carico di incertezza, apparizioni e scomparse. La bellezza di questi luoghi contiene anche un senso di fragilità, di miraggio e infinita lontananza.
L’artista è un eterno viaggiatore che varca i confini del linguaggio per dare voce al silenzio, a ciò che non ha ancora parola, per trovare un senso nel caos contemporaneo e varcare di continuo le porte ed i limiti del sapere e della conoscenza: è l’altrove, il mistero lontano, come quello del recente viaggio a Berlino, che muove la creazione e spinge l’artista ad interrogarsi sul futuro e su quello che potrà accadere domani, con lo stupore meraviglioso di un bambino che scopre ogni volta, giorno dopo giorno, la vita e l’amore, come se tutto si potesse reinventare a ogni istante.
Nelle parole dell’artista ritroviamo le ragioni della sua pittura: ”La figura umana occupa spazi marginali, spesso è solo accennata come un’ombra lontana. Nella mia visione del paesaggio è un luogo reale il protagonista. Attraverso di lui si può percepire la storia, le storie, e si può pensare comunque all’uomo”.
Le sue città visibili – invisibili sono le assolute protagoniste della scena, diventano un registro privato di emozioni e sentimenti: un diario dove annotare paure e silenzi, ma anche desideri di vita e amore dell’uomo.
Dal Catalogo
“Scorci di Verità”
Arezzo, Galleria Comunale
d’Arte Contemporanea
26 Marzo – 2 Maggio 2010
"Scorci di verità nella pittura di Claudio Cionini" (di Giovanni Faccenda)
Lo so: avrò io sempre un’ombra
anche se il sogno è questo
e il murmure non sembri
dare gridi
Giovanni Testori, I Trionfi (1965)
Da quando mi occupo di Claudio Cionini – e sono ormai quattro o cinque anni – un nome, in particolare, ho sempre avuto timore di pronunciarlo. Troppo grande – ancora, forse – per un giovane autore che deve confermarsi; azzardato, dunque, e persino ingombrante, anche per un talento purissimo, suscitato da straordinarie ricchezze interiori e al tempo stesso scosso da urgenze inarrestabili.
Detto questo, l’accostamento al sommo Antonio López Garcia (Tomelloso, 1936), può, nella considerazione di qualcuno, apparire al momento assai stonato, pensando soprattutto a quale eccellenza di pittura abbia contraddistinto la storia di questo maestro, tra i maggiori nell’arte degli ultimi cinquant’anni.
Eppure, un riferimento iconografico – quello con il quale abbiamo deciso di illustrare questa pagina – ci mostra, se non altro, una sorprendente vicinanza sentimentale per certi motivi. «Sorprendente», perché credo che Cionini conosca soltanto superficialmente il lavoro di López Garcia e, comunque, altri sono gli artisti che – chiamato ad indicarli – egli cita tra i suoi preferiti.
Così, quelle strade e quei palazzi, prima assimilati mentalmente, poi cancellati e infine risorti in lui con singolari suggestioni liriche, mantengono una autenticità ideativa che vibra nelle sue molteplici manifestazioni, al volgere di un realismo, oggi principalmente insistito in ambito metropolitano, da ritenere nota rilevante fra le rare emergenze, davvero interessanti, dello scenario contemporaneo.
C’è semmai da osservare, nell’organico percorso espressivo che Cionini ha sin qui condotto, affascinato da alcuni oscuri fermenti evocativi ugualmente avvertiti a Milano, Parigi e Berlino, una più profonda ed estesa analisi esistenziale che continua a prendere progressivamente corpo, dispiegandosi con toccante intensità nel susseguirsi sorvegliato di opere, da intendere ora, diversamente da quanto era accaduto in passato, come tessere – ognuna insostituibile – di un ideale mosaico.
La vita, e tutto quello che ne concerne, vi scorre dentro come il sangue nelle viscere. Scopri, all’ombra di case che nascondono chissà quali segreti, un misto di speranze ed inquietudini in cui è facile indovinare comunanza di destini. E gli uomini, nei dipinti di Cionini, quasi scompaiono con le proprie vergogne, inceneriti dai mille turbamenti che scandiscono le lunghe ore del quotidiano, in quel deserto di umanità che, sottovoce, con visione allusiva, simili immagini non smettono di parteciparci.
Sciama, in questi suoi scorci di verità, una condizione umana identica a varie latitudini; di più, la presa di coscienza di un male interno che elude, perfido, ogni nostra difesa immunitaria, nel breve itinerario verso una esteriorità dai più taciuta. Giorni sempre uguali nel tempo, di una sofferta quanto invincibile monotonia, si perpetuano in pittura. Cionini sa bene che non è questione di stagioni, ore o differenti condizioni meteorologiche. È scritto che a nessuno sia dato di arrivare in Paradiso con gli occhi asciutti.
Allora, anche quelle colature che tanto ne caratterizzano il gesto, assumono un senso, si emancipano rispetto a taluni rimandi che potrebbero essere visti come strumentali, affermando, dunque, la cosciente volontà di un artista attento alle sfumature, ai minuscoli dettagli che nobilitano, possono nobilitare, un’opera d’arte come la stessa esistenza.
Se, in un mio testo di qualche tempo fa, avevo ritenuto di ipotizzare il possibile apprezzamento di Giovanni Testori per il lavoro di Cionini, è perché ho lucida memoria di cosa davvero stesse a cuore a questo straordinario intellettuale: la bellezza, la poesia, la pittura di scavo. Per tali, elevatissime ragioni, la trepidante investigazione del pittore nella dimensione immateriale – là dove si annidano fremiti umani indicibili – avrebbe certo riscosso il consenso di chi, come Testori, sapeva la verità ultima custodita in uno scrigno invisibile, di cui certo chiarore opalescente è spesso indizio sublime.
La mente, rapida, corre a quella luminosità diffusa, ora lattiginosa ora madreperlacea, che abita i languidi cieli di Cionini, nel consueto avverarsi di struggenti rivelazioni sospese a mezz’aria, un bagliore che diventa propedeutico e, improvvisamente, persino – diresti – catartico, rispetto ad una realtà matrigna cucita addosso a muri fradici di dolente rassegnazione, nell’attonita attesa di qualcosa che già incombe.
È, questo, uno degli arcani presagi che Cionini ci affida in silenzio, nel divenire sempre più maturo di un impegno, a cui non fa difetto una cospicua severità.
Firenze, marzo 2010.
"Sogni e visioni nelle città visibili di Cionini" (Riccardo Ferrucci)
La pittura e l’arte contemporanea sono un universo variegato aperto a esperienze e sollecitazioni diverse, ogni autore cerca un proprio modo per raffigurare e rapportarsi con la realtà ed il proprio tempo. L’arte diventa sempre di più un’esperienza che coinvolge più linguaggi artistici e che cerca un modo diverso per comunicare sentimenti ed emozioni. Claudio Cionini non sfugge a questa regola e la sua attività artistica che si sviluppa, con rara coerenza, a partire dagli anni duemila fino ad oggi non ha mai smesso di ricercare stili e forme poetiche nuove che riescano a produrre inedite modalità comunicative e originali creazioni artistiche.
Il viaggio nell’arte di Claudio Cionini è tutto vissuto sotto il segno della leggerezza, quella indicata da Italo Calvino nelle Lezioni americane: “La mia operazione è stata il più delle volte una sottrazione di peso; ho cercato di togliere peso ora alle figure umane, ora ai corpi celesti, ora alle città; soprattutto ho cercato di togliere peso alla struttura del racconto e al linguaggio”.
Nella pittura Cionini compie un’analoga operazione cercando una sua strada verso la leggerezza, togliendo peso alle strutture formali, riducendo i toni cromatici, cercando una pittura dell’essenzialità. È una strada verso la lievità ed il sogno, costruendo un personale viaggio che recupera il senso del tempo e della storia aprendosi ad un’assoluta modernità. La sua arte ha la dimensione evocativa della musica, i tempi ed i ritmi sospesi di un canto, di un suono che nasce e muore dalle cose, modificando continuamente gesti e segni.
È una dimensione circolare quella che propone l’artista nel suo cammino attraverso opere e cicli di opere che si ripetono, inseguendosi e richiamandosi, con sottili e significative variazioni cromatiche e segniche; quasi ad evocare una dimensione enigmatica dell’arte: tutto si riproduce e si ripete, ma tutto contemporaneamente cambia e muta ogni volta.
Le immagini metafisiche, quasi in assenza di peso, delle acciaierie di Piombino, di New York, Londra, Madrid, Melbourne, diventano una sorta di viaggio interiore in luoghi dell’anima, in spazi vuoti di presenze umane, ma carichi di significati simbolici ed emotivi: un canto interiore che trova nelle strade, nei grattacieli, nelle luci notturne una sorta di moderno cantico della civiltà. Come afferma Marco Polo in “Le città invisibili” di Calvino: “Le immagini della memoria una volta fissate con le parole, si cancellano. Forse Venezia ha paura di perderla tutta in una volta, se ne parlo. O forse, parlando di altre città, l’ho già perduta a poco a poco”.
Anche Cionini fissa con le immagini i ricordi e le visioni delle sue città, ricordiamo in particolare il suo viaggio nei muri di Berlino, ma una volta messe sulla tela, la consistenza delle città sembra sul punto di dissolversi e diventare un viaggio interiore in un mondo carico di incertezza, apparizioni e scomparse. La bellezza di questi luoghi contiene anche un senso di fragilità, di miraggio e infinita lontananza.
L’artista è un eterno viaggiatore che varca i confini del linguaggio per dare voce al silenzio, a ciò che non ha ancora parola, per trovare un senso nel caos contemporaneo e varcare di continuo le porte ed i limiti del sapere e della conoscenza: è l’altrove, il mistero lontano, come quello del recente viaggio a Berlino, che muove la creazione e spinge l’artista ad interrogarsi sul futuro e su quello che potrà accadere domani, con lo stupore meraviglioso di un bambino che scopre ogni volta, giorno dopo giorno, la vita e l’amore, come se tutto si potesse reinventare a ogni istante.
Nelle parole dell’artista ritroviamo le ragioni della sua pittura: ”La figura umana occupa spazi marginali, spesso è solo accennata come un’ombra lontana. Nella mia visione del paesaggio è un luogo reale il protagonista. Attraverso di lui si può percepire la storia, le storie, e si può pensare comunque all’uomo”.
Le sue città visibili – invisibili sono le assolute protagoniste della scena, diventano un registro privato di emozioni e sentimenti: un diario dove annotare paure e silenzi, ma anche desideri di vita e amore dell’uomo.
Dal Catalogo della mostra “L’ombra del Muro”
Firenze, Consiglio Regionale della Toscana
9 – 22 Novembre 2009
"L’ombra del Muro" (Giovanni Faccenda)
Ho seguito fin dai suoi esordi sulla scena artistica nazionale il percorso di Claudio Cionini, giovane pittore toscano divenuto, in breve, una delle figure più interessanti e significative tra i cosiddetti emergenti. A dire il vero, limitandosi, nella considerazione della sua opera, alla naturale brevità del cammino e agli stessi riferimenti anagrafici dell’autore, il rischio di non comprendere fino in fondo la bontà, tutt’altro che acerba, di una pittura tanto ricercata nella stesura, è più che certo. Così che è preferibile avvicinarsi, liberi da ogni pregiudizio, a un lavoro al contrario colmo di riflessioni mature e solide impostazioni, che racconta di uno scavo, toccante, condotto oltre la pelle stessa delle immagini.
Questa caratteristica, già avvertibile in taluni lavori di Cionini, realizzati una decina d’anni fa quand’egli frequentava l’Accademia di Belle Arti di Firenze, non solo ha contraddistinto tutti i dipinti successivi, ma ora, come aggravata da una più profonda urgenza radicata nell’umbratile versante interiore, diventa condizione ormai imprescindibile per un artista di talento, capace di esiti da considerare, anche rispetto al più recente passato, già superiori.
Le prime tavole di questa rilevante stagione, cresciuta tra le suggestioni di Berlino, ebbi modo di apprezzarle la scorsa estate durante una visita al suo studio. Riposavano a terra, con la schiena appoggiata a ridosso del muro, in una sorta di attesa che si percepiva inquieta, come allora era, o sembrava essere, l’animo stesso di Cionini. Quei dubbi che affliggevano la mente di un pittore tanto sensibile non riguardavano, in realtà, le prime opere che inauguravano un ciclo – quello ora documentato in questa mostra e in questo libro –, ma l’adesione ad una verità pittorica e sentimentale che egli, mai, avrebbe tradito. Tanto che, con una libertà espressiva sorretta da apprezzabile coraggio, inediti accordi cromatici, robusti impasti materici e una più marcata architettura grafica – caratterizzata, talvolta, da vertiginose prospettive – andavano finalmente a impreziosire il complesso di un lavoro sul cui valore, a questo punto, non è più possibile dubitare.
Osservando, oggi, con il necessario distacco, quanto Cionini è riuscito a dipingere durante il suo soggiorno a Berlino, ulteriori certezze giungono a confortare la convinzione che sempre abbiamo mostrato sulle qualità di questo autore. Al di là dei soggetti descritti con vibrante intensità lirica, ciò che spicca in questo corpus di opere attraversato da rapita partecipazione emotiva è la struggente simmetria tra i colori e i diversi stati d’animo del pittore, emblematica al punto da rivelarci, in certi ombrosi toni germinati dal nero, l’ansia insita in un parto tutt’altro che illustrativo.
Lo spettro del Muro, di un muro che non c’è più nella realtà, ma insiste, con tragica devastazione, nella memoria di chi ebbe a guardarlo, per interminabili decenni, annegato in un lugubre mare di disperazione, è stato, per Cionini, il tema senz’altro più complicato in un itinerario abitato da mutevoli languori. Non era facile mantenersi distante dalla retorica che avrebbe certo indebolito il piglio dell’investigazione, tanto che a stupire è proprio il modo in cui egli sia riuscito a farlo, toccando ambiti squisitamente evocativi, limpidi, ora, nell’essenza della rappresentazione.
In quella Berlino talvolta allucinata, dove case, piazze e strade vagheggiano continuamente fantasmi di uomini – che ci sono o ci sono stati -, l’ombra del Muro raggiunge ricordi e coscienze di chi ha diviso ed è stato diviso, in quella folle notte dell’umanità che non smette di affiorare, sinistra, nei luoghi raffigurati da Cionini. Vi si giunge in punta di piedi, come accompagnati da qualcuno che invita a fare silenzio, per non turbare una calma sospetta, nella quale a tratti riecheggia una misteriosa lontananza di voci. Sono lamenti destinati a rimanere anonimi nella grande farsa del tempo, che nulla cancella, soprattutto nel cuore di chi porta, in dote a coloro che verranno, cicatrici indelebili.
La mente corre ad alcuni versi di Nazim Hikmet:
Non vivere su questa terra come un estraneo o come un turista della natura.
Vivi in questo mondo come nella casa di tuo padre:
credi al grano, alla terra, al mare, ma prima di tutto credi nell’uomo.
Ama le nuvole, le macchine,
i libri, ma prima di tutto ama l’uomo.
Senti la tristezza del ramo che si secca,
dell’astro che si spegne,
dell’animale ferito che rantola,
ma prima di tutto senti la tristezza e il dolore dell’uomo.
Ti diano gioia tutti i beni della terra:
l’ombra e la luce ti diano gioia,
le quattro stagioni ti diano gioia,
ma soprattutto
a piene mani ti dia gioia l’uomo!
Non so se Cionini conosca questo poeta straordinario, ma certo ciò che egli ha dipinto a Berlino e di Berlino esprime la medesima filosofia. Con una qualità di pittura oggi davvero rara, che lo distingue come uno dei maggiori talenti della sua generazione. E non solo.
Firenze, ottobre 2009.
"Atmosfere da Berlino" (Giovanna Maria Carli)
Ardente in raffinatezza…
Odi del Tempio di Chou
Cos’è dunque lo stile si chiede Cristina Campo[1], per poi rispondersi lasciando aperta ogni possibilità, senza riserve. Spirito intellettualmente libero è capace di ascoltare e leggere innumerevoli fonti per farle proprie con acume e saggezza.
La risposta possibile: “…cultura naturale e mentale…accresciuto sentimento di vita…solitudine”[2].
È così che mi immagino il ‘petit tour’ di Cionini a Berlino, attratto dalla cultura in grande evoluzione, l’arte e la musica in particolare, col piacere di perdersi alla ricerca di una solitudine onirica all’interno di strade delimitate da case e palazzi. I muri hanno assorbito la storia relativamente recente, gli sguardi degli abitanti: una città si è trovata dimezzata e con lei il mondo tutto.
Gli occhi di Cionini registrano atmosfere inconsuete, talvolta desolate, e la sua arte, passando attraverso la sua sensibilità – ma potremmo riprendere felicemente le parole di Cristina Campo e scrivere “accresciuto sentimento di vita”, filtrata da una ricca “cultura naturale e mentale”, in solitudine (i paesaggi urbani che l’autore propone si sono presi una pausa dal caos quotidiano e appaiono nella loro sconvolgente nudità e bellezza) – regala un modo nuovo di vedere la città. Questa è originalità che – come sottolinea Rabih Alameddine, autore dell’opera letteraria “Hakawati. Il cantore di storie” ma anche pittore – non inventa niente, riposta com’è nello sguardo nuovo, nella sconosciuta visione con cui un autore affronta un oggetto/soggetto.
La partitura cromatica, l’impaginazione e la resa in piano dei volumi, insieme con le atmosfere metafisiche di Berlino, fanno di ogni opera pittorica un piccolo assolo musicale, godibilissimo e suggestivo.
Con la nuova produzione berlinese, l’autore mostra una maturità ideativa e tecnica notevole. Con uno sguardo nuovo l’artista segna una tappa fondamentale nella sua carriera.
La sua originalità sta proprio nel restituire ai nostri occhi una diversità che non abbiamo colto dal vero, e che lui, da artista, ha avuto la sensibilità di cogliere per farne poesia.
Avendo avuto l’onore e il piacere di aver seguito da vicino l’esordio di questo giovane e talentuoso pittore, posso oggi affermare, non nascondendo un po’ d’orgoglio personale, che alla sua arte appartengono stile, originalità e una certa non trascurabile eleganza.
Echi di un Novecento metafisico ed espressionista rincorrono le sue silenziose solitudini, le sue pause, i suoi vuoti. La tecnica e il risultato finale mostrano uno sguardo interiore, capace di imprimere immagini nella memoria. La capacità dell’autore è, a mio avviso, in un’epoca afflitta da patetici replicanti dell’arte (e non solo!) quella di un’originalità che diviene stile.
La sua ‘full immersion’ berlinese, offre quindi il suo sguardo interno, forse l’anima più vera di questa città, un tempo divisa, in una personale assunzione di responsabilità storico-artistica: rappresentazione di un est e di un ovest dell’oggi, attraverso penetrabili lacerti di muro.
Figure disincantate si affacciano in una dimensione ibrida tra passato e presente, tra sogno e realtà, difficilmente distinguibili.
Prof.ssa Giovanna M. Carli
Storico dell’arte, critico
[1] Cristina Campo, Gli imperdonabili, Milano 1987, p. 87.
[2] Ibidem.
"La libertà oltre il Muro" (Antonio de Ruggiero)
Tra le varie opere di Cionini dedicate alla città di Berlino mi ha colpito in modo particolare la raffigurazione dell’«Elsa d’oro», l’imponente scultura bronzea posta in cima alla «colonna della vittoria» realizzata nel 1873 per celebrare la raggiunta unificazione della Prussia dopo le sanguinose battaglie contro i Principati danesi nel 1864, contro l’Austria nel 1866 e, infine, contro la Francia tra 1870 e 1871. Da quella data in poi l’Unità tedesca fu messa in crisi in più occasioni. Solo dopo la seconda guerra mondiale, però, tale crisi raggiunse il suo apice. La Germania sconfitta fu spartita prima in quattro zone di occupazione dalle principali potenze vincitrici e poi, con l’acuirsi della Guerra Fredda, in due Stati veri e propri, controllati uno dal blocco occidentale e l’altro dal regime sovietico.
Berlino, la vecchia capitale che pur trovandosi nell’area sovietica mantenne un territorio di occupazione occidentale, divenne l’emblema di questa contrapposizione e, inevitabilmente, il luogo di maggior tensione tra i due sistemi in conflitto. Nell’agosto del 1961 le autorità tedesco-orientali preoccupate per il numero delle eccessive fughe verso Berlino Ovest -fughe in gran parte di giovani che rischiavano la vita pur di raggiungere la parte occidentale della città-, decisero di erigere un vero e proprio muro di separazione che prese corpo nei mesi successivi fino a raggiungere una lunghezza di oltre 100 chilometri per un’altezza media di 3,60 metri. Da questo momento le due città non potevano più comunicare e la vigile sorveglianza notte e giorno di sentinelle armate rese più difficile il passaggio dei dissidenti verso Berlino Ovest. Come evidenziò lo scrittore della Germania Est, Stefan Heym, il Muro divenne il simbolo «di una sconfitta e dell’inferiorità» di un regime dittatoriale che riusciva a sopravvivere «soltanto tenendo la gente con la forza entro i propri confini». Negli anni successivi, soprattutto a partire dal 1966 quando fu nominato ministro degli Esteri della Germania Occidentale il socialdemocratico Willy Brandt poi divenuto cancelliere, iniziò una fase di sforzi politici e accordi diplomatici con la ratifica di alcuni trattati e con il sostanziale riconoscimento reciproco tra le due parti. Il Muro non riuscì, però, ad arrestare il desiderio di libertà e furono centinaia le vittime nel tentativo di scavalcarlo. A metà degli anni ’80 il neoeletto segretario del PCUS, Mikhail Gorbachev, avviò un processo di cambiamento culminato con la crisi del sistema sovietico. Non fu in realtà una liberazione indipendente da parte degli Stati satellite dell’Europa orientale. Entrarono in gioco altri fattori che spiegano meglio l’implosione interna di un sistema ormai fortemente indebolito: in primo luogo la sconfitta patita dall’Urss in Afghanistan nel 1979; in secondo luogo il debito estero accumulato da alcuni Paesi del Patto di Varsavia di fatto ormai dipendenti economicamente dall’Occidente; infine, il crollo del prezzo del petrolio che tra 1985 e 1986 decretò una crisi delle esportazioni sovietiche. Ma svolsero un ruolo importante anche la rivoluzione tecnologica dell’Occidente e la politica dello «scudo stellare» di Reagan, nonché l’elezione di un Papa polacco, Karol Wojtyla. Nell’estate dell’89 centinaia di cittadini di Berlino Est non intendevano far rientro dalle vacanze e si rifugiarono nelle ambasciate della Germania Occidentale dislocate a Praga e Budapest. L’11 settembre l’Ungheria aprì le frontiere con l’Austria permettendo a altre 10.000 cittadini di passare in Occidente. Tali avvenimenti determinarono dimostrazioni di massa contro il governo della Germania Est nell’autunno successivo.
Ero solo un ragazzino all’epoca, ma ho ancora nitide nella mente le immagini trasmesse in tv che immortalavano il 9 di novembre del 1989 una folla di berlinesi che, finalmente autorizzati dal governo della DDR, prendevano d’assalto il Muro per raggiungere altri numerosi gruppi di persone festanti dall’altra parte. Così come non dimentico le speranze di libertà di giovani studenti cinesi soffocate nel sangue cinque mesi prima dai carri armati nella piazza Tienanmen di Pechino. Il sociologo e filosofo tedesco Ralf Dahrendorf, riflettendo sulla portata degli eventi del 1989, concluse che il «socialismo reale» era stato semplicemente incapace di soddisfare il bisogno di libertà e progresso di ogni uomo. Quell’anno rappresentò il momento più significativo che portò al crollo del regime comunista nell’Europa orientale e, quindi, alla fine della contrapposizione tra Est e Ovest, seppur con conseguenze politiche e sociali difficili che ancora oggi si trascinano. Di fatto, Berlino veniva finalmente restituita ai berlinesi, anzi, a tutta l’umanità libera, poiché come affermò il presidente americano Kennedy nel 1963 di fronte all’orrendo muro della vergogna, «tutti gli uomini liberi, ovunque si trovino, sono cittadini di Berlino».
Oggi l’«Elsa d’oro», simbolo della città, può contemplare di nuovo dall’alto una capitale fra le più belle in Europa, una città libera, moderna, dinamica e ricca di manifestazioni culturali. È giusto oggi, a vent’anni di distanza dalla caduta del Muro, celebrare Berlino attraverso il pregevole talento artistico di un giovane pittore toscano. Ed ogni espressione artistica è un’espressione di libertà.
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Gli angeli di Berlino (di Sebastiana Gangemi)
La mia Berlino (di Claudio Cionini)
Tra i grandi viali della ex Berlino Est tira un vento teso da nord, scorre come un fiume in piena tra i massicci edifici fatti a scatole che fanno da argine. Per andare verso Alexanderplatz devo camminare controcorrente.
Ai bordi dei marciapiedi, attorno alle auto in sosta, si fermano a marcire le foglie dei castagni, ingiallite da questo ottobre che, poco alla volta, prepara alla rigida stagione invernale.
Mi fermo per un attimo a guardare le ombre degli alberi danzare sull’asfalto scuro, bagnato dalla recente pioggia. Alzo gli occhi, poco alla volta, la prospettiva di questi monumentali edifici porta lo sguardo lontano, dove si distingue ben poco: laggiù dove la profondità appiattisce i contrasti con una luce leggera, facendo sembrare i grandi palazzi senza peso.
Mi trovo sulla Karl-Marx Allee, un viale che attraversa tutto il quartiere di Friedrichshain da est verso ovest, parallelamente alla Sprea. Percorrendolo, ci impone di tornare ai tempi in cui è nato, potrebbe testimoniare di glorie e di sconfitte, di sommosse e di proteste: è esso stesso la forma concreta di un pensiero ideologico e chi meglio di lui ci può far capire il passato?
Attorno all’Alexanderplatz si fermano gli ultimi edifici dell’est. Questa piazza sembra guardare verso ovest; divisa in due dalla stazione della metro e solcata ai lati dai binari del tram, è un grande punto di incontro e di partenza, sempre affollata da persone che l’attraversano frettolosamente, oppure, in attesa, siedono sulle panchine.
Mi sono spesso fermato qui, ad osservare le persone, che vanno a chissà quale destinazione, a chissà quale vita. Uno straniero come me, a Berlino, non può fare a meno di chiedersi come è stata la vita in una città divisa, e cosa è rimasto, nelle persone, di quel muro.
Guardo i giovani, gli anziani e mi domando: avranno vissuto a est oppure a ovest.
Se il Muro di Berlino è stato il simbolo più forte della Guerra Fredda, l’ abbattimento dello stesso è sicuramente un simbolo altrettanto forte di libertà, del bisogno istintivo che l’uomo ha di essa.
Lo stridere delle rotaie mi porta ad alzare lo sguardo verso la sopraelevata e a seguire la corsa del treno. Potrei prendere qui la linea due della metro e arrivare direttamente e in pochi minuti a Potsdamer Platz… decido però di proseguire a piedi, magari lungo la Leipziger Strasse e andare così incontro alle nuove costruzioni dei quartieri occidentali.
In direzione Charlottenburg la città cambia pelle. Il rigore che ho incontrato prima, lascia spazio alle multiformi creazioni architettoniche contemporanee: Potsdamer Platz ne è l’esempio più evidente.
Tra questi grattacieli che puntano verso il cielo, continuo ad aggirarmi prima di rientrare a casa. Alcuni di questi, qua intorno, devono essere ancora completati, di altri, per ora, si vede solo un groviglio di gru. Sulle macerie del muro, Berlino, sta costruendo il suo futuro.
Berlino, ottobre 2009.
Dal Catalogo
“L’ombra del Muro”
Firenze, Consiglio Regionale
della Toscana
9 – 22 Novembre 2009
"L’ombra del Muro" (Giovanni Faccenda)
Ho seguito fin dai suoi esordi sulla scena artistica nazionale il percorso di Claudio Cionini, giovane pittore toscano divenuto, in breve, una delle figure più interessanti e significative tra i cosiddetti emergenti. A dire il vero, limitandosi, nella considerazione della sua opera, alla naturale brevità del cammino e agli stessi riferimenti anagrafici dell’autore, il rischio di non comprendere fino in fondo la bontà, tutt’altro che acerba, di una pittura tanto ricercata nella stesura, è più che certo. Così che è preferibile avvicinarsi, liberi da ogni pregiudizio, a un lavoro al contrario colmo di riflessioni mature e solide impostazioni, che racconta di uno scavo, toccante, condotto oltre la pelle stessa delle immagini.
Questa caratteristica, già avvertibile in taluni lavori di Cionini, realizzati una decina d’anni fa quand’egli frequentava l’Accademia di Belle Arti di Firenze, non solo ha contraddistinto tutti i dipinti successivi, ma ora, come aggravata da una più profonda urgenza radicata nell’umbratile versante interiore, diventa condizione ormai imprescindibile per un artista di talento, capace di esiti da considerare, anche rispetto al più recente passato, già superiori.
Le prime tavole di questa rilevante stagione, cresciuta tra le suggestioni di Berlino, ebbi modo di apprezzarle la scorsa estate durante una visita al suo studio. Riposavano a terra, con la schiena appoggiata a ridosso del muro, in una sorta di attesa che si percepiva inquieta, come allora era, o sembrava essere, l’animo stesso di Cionini. Quei dubbi che affliggevano la mente di un pittore tanto sensibile non riguardavano, in realtà, le prime opere che inauguravano un ciclo – quello ora documentato in questa mostra e in questo libro –, ma l’adesione ad una verità pittorica e sentimentale che egli, mai, avrebbe tradito. Tanto che, con una libertà espressiva sorretta da apprezzabile coraggio, inediti accordi cromatici, robusti impasti materici e una più marcata architettura grafica – caratterizzata, talvolta, da vertiginose prospettive – andavano finalmente a impreziosire il complesso di un lavoro sul cui valore, a questo punto, non è più possibile dubitare.
Osservando, oggi, con il necessario distacco, quanto Cionini è riuscito a dipingere durante il suo soggiorno a Berlino, ulteriori certezze giungono a confortare la convinzione che sempre abbiamo mostrato sulle qualità di questo autore. Al di là dei soggetti descritti con vibrante intensità lirica, ciò che spicca in questo corpus di opere attraversato da rapita partecipazione emotiva è la struggente simmetria tra i colori e i diversi stati d’animo del pittore, emblematica al punto da rivelarci, in certi ombrosi toni germinati dal nero, l’ansia insita in un parto tutt’altro che illustrativo.
Lo spettro del Muro, di un muro che non c’è più nella realtà, ma insiste, con tragica devastazione, nella memoria di chi ebbe a guardarlo, per interminabili decenni, annegato in un lugubre mare di disperazione, è stato, per Cionini, il tema senz’altro più complicato in un itinerario abitato da mutevoli languori. Non era facile mantenersi distante dalla retorica che avrebbe certo indebolito il piglio dell’investigazione, tanto che a stupire è proprio il modo in cui egli sia riuscito a farlo, toccando ambiti squisitamente evocativi, limpidi, ora, nell’essenza della rappresentazione.
In quella Berlino talvolta allucinata, dove case, piazze e strade vagheggiano continuamente fantasmi di uomini – che ci sono o ci sono stati -, l’ombra del Muro raggiunge ricordi e coscienze di chi ha diviso ed è stato diviso, in quella folle notte dell’umanità che non smette di affiorare, sinistra, nei luoghi raffigurati da Cionini. Vi si giunge in punta di piedi, come accompagnati da qualcuno che invita a fare silenzio, per non turbare una calma sospetta, nella quale a tratti riecheggia una misteriosa lontananza di voci. Sono lamenti destinati a rimanere anonimi nella grande farsa del tempo, che nulla cancella, soprattutto nel cuore di chi porta, in dote a coloro che verranno, cicatrici indelebili.
La mente corre ad alcuni versi di Nazim Hikmet:
Non vivere su questa terra come un estraneo o come un turista della natura.
Vivi in questo mondo come nella casa di tuo padre:
credi al grano, alla terra, al mare, ma prima di tutto credi nell’uomo.
Ama le nuvole, le macchine,
i libri, ma prima di tutto ama l’uomo.
Senti la tristezza del ramo che si secca,
dell’astro che si spegne,
dell’animale ferito che rantola,
ma prima di tutto senti la tristezza e il dolore dell’uomo.
Ti diano gioia tutti i beni della terra:
l’ombra e la luce ti diano gioia,
le quattro stagioni ti diano gioia,
ma soprattutto
a piene mani ti dia gioia l’uomo!
Non so se Cionini conosca questo poeta straordinario, ma certo ciò che egli ha dipinto a Berlino e di Berlino esprime la medesima filosofia. Con una qualità di pittura oggi davvero rara, che lo distingue come uno dei maggiori talenti della sua generazione. E non solo.
Firenze, ottobre 2009.
"Atmosfere da Berlino" (Giovanna Maria Carli)
Ardente in raffinatezza…
Odi del Tempio di Chou
Cos’è dunque lo stile si chiede Cristina Campo[1], per poi rispondersi lasciando aperta ogni possibilità, senza riserve. Spirito intellettualmente libero è capace di ascoltare e leggere innumerevoli fonti per farle proprie con acume e saggezza.
La risposta possibile: “…cultura naturale e mentale…accresciuto sentimento di vita…solitudine”[2].
È così che mi immagino il ‘petit tour’ di Cionini a Berlino, attratto dalla cultura in grande evoluzione, l’arte e la musica in particolare, col piacere di perdersi alla ricerca di una solitudine onirica all’interno di strade delimitate da case e palazzi. I muri hanno assorbito la storia relativamente recente, gli sguardi degli abitanti: una città si è trovata dimezzata e con lei il mondo tutto.
Gli occhi di Cionini registrano atmosfere inconsuete, talvolta desolate, e la sua arte, passando attraverso la sua sensibilità – ma potremmo riprendere felicemente le parole di Cristina Campo e scrivere “accresciuto sentimento di vita”, filtrata da una ricca “cultura naturale e mentale”, in solitudine (i paesaggi urbani che l’autore propone si sono presi una pausa dal caos quotidiano e appaiono nella loro sconvolgente nudità e bellezza) – regala un modo nuovo di vedere la città. Questa è originalità che – come sottolinea Rabih Alameddine, autore dell’opera letteraria “Hakawati. Il cantore di storie” ma anche pittore – non inventa niente, riposta com’è nello sguardo nuovo, nella sconosciuta visione con cui un autore affronta un oggetto/soggetto.
La partitura cromatica, l’impaginazione e la resa in piano dei volumi, insieme con le atmosfere metafisiche di Berlino, fanno di ogni opera pittorica un piccolo assolo musicale, godibilissimo e suggestivo.
Con la nuova produzione berlinese, l’autore mostra una maturità ideativa e tecnica notevole. Con uno sguardo nuovo l’artista segna una tappa fondamentale nella sua carriera.
La sua originalità sta proprio nel restituire ai nostri occhi una diversità che non abbiamo colto dal vero, e che lui, da artista, ha avuto la sensibilità di cogliere per farne poesia.
Avendo avuto l’onore e il piacere di aver seguito da vicino l’esordio di questo giovane e talentuoso pittore, posso oggi affermare, non nascondendo un po’ d’orgoglio personale, che alla sua arte appartengono stile, originalità e una certa non trascurabile eleganza.
Echi di un Novecento metafisico ed espressionista rincorrono le sue silenziose solitudini, le sue pause, i suoi vuoti. La tecnica e il risultato finale mostrano uno sguardo interiore, capace di imprimere immagini nella memoria. La capacità dell’autore è, a mio avviso, in un’epoca afflitta da patetici replicanti dell’arte (e non solo!) quella di un’originalità che diviene stile.
La sua ‘full immersion’ berlinese, offre quindi il suo sguardo interno, forse l’anima più vera di questa città, un tempo divisa, in una personale assunzione di responsabilità storico-artistica: rappresentazione di un est e di un ovest dell’oggi, attraverso penetrabili lacerti di muro.
Figure disincantate si affacciano in una dimensione ibrida tra passato e presente, tra sogno e realtà, difficilmente distinguibili.
Prof.ssa Giovanna M. Carli
Storico dell’arte, critico
[1] Cristina Campo, Gli imperdonabili, Milano 1987, p. 87.
[2] Ibidem.
"La libertà oltre il Muro" (Antonio de Ruggiero)
Tra le varie opere di Cionini dedicate alla città di Berlino mi ha colpito in modo particolare la raffigurazione dell’«Elsa d’oro», l’imponente scultura bronzea posta in cima alla «colonna della vittoria» realizzata nel 1873 per celebrare la raggiunta unificazione della Prussia dopo le sanguinose battaglie contro i Principati danesi nel 1864, contro l’Austria nel 1866 e, infine, contro la Francia tra 1870 e 1871. Da quella data in poi l’Unità tedesca fu messa in crisi in più occasioni. Solo dopo la seconda guerra mondiale, però, tale crisi raggiunse il suo apice. La Germania sconfitta fu spartita prima in quattro zone di occupazione dalle principali potenze vincitrici e poi, con l’acuirsi della Guerra Fredda, in due Stati veri e propri, controllati uno dal blocco occidentale e l’altro dal regime sovietico.
Berlino, la vecchia capitale che pur trovandosi nell’area sovietica mantenne un territorio di occupazione occidentale, divenne l’emblema di questa contrapposizione e, inevitabilmente, il luogo di maggior tensione tra i due sistemi in conflitto. Nell’agosto del 1961 le autorità tedesco-orientali preoccupate per il numero delle eccessive fughe verso Berlino Ovest -fughe in gran parte di giovani che rischiavano la vita pur di raggiungere la parte occidentale della città-, decisero di erigere un vero e proprio muro di separazione che prese corpo nei mesi successivi fino a raggiungere una lunghezza di oltre 100 chilometri per un’altezza media di 3,60 metri. Da questo momento le due città non potevano più comunicare e la vigile sorveglianza notte e giorno di sentinelle armate rese più difficile il passaggio dei dissidenti verso Berlino Ovest. Come evidenziò lo scrittore della Germania Est, Stefan Heym, il Muro divenne il simbolo «di una sconfitta e dell’inferiorità» di un regime dittatoriale che riusciva a sopravvivere «soltanto tenendo la gente con la forza entro i propri confini». Negli anni successivi, soprattutto a partire dal 1966 quando fu nominato ministro degli Esteri della Germania Occidentale il socialdemocratico Willy Brandt poi divenuto cancelliere, iniziò una fase di sforzi politici e accordi diplomatici con la ratifica di alcuni trattati e con il sostanziale riconoscimento reciproco tra le due parti. Il Muro non riuscì, però, ad arrestare il desiderio di libertà e furono centinaia le vittime nel tentativo di scavalcarlo. A metà degli anni ’80 il neoeletto segretario del PCUS, Mikhail Gorbachev, avviò un processo di cambiamento culminato con la crisi del sistema sovietico. Non fu in realtà una liberazione indipendente da parte degli Stati satellite dell’Europa orientale. Entrarono in gioco altri fattori che spiegano meglio l’implosione interna di un sistema ormai fortemente indebolito: in primo luogo la sconfitta patita dall’Urss in Afghanistan nel 1979; in secondo luogo il debito estero accumulato da alcuni Paesi del Patto di Varsavia di fatto ormai dipendenti economicamente dall’Occidente; infine, il crollo del prezzo del petrolio che tra 1985 e 1986 decretò una crisi delle esportazioni sovietiche. Ma svolsero un ruolo importante anche la rivoluzione tecnologica dell’Occidente e la politica dello «scudo stellare» di Reagan, nonché l’elezione di un Papa polacco, Karol Wojtyla. Nell’estate dell’89 centinaia di cittadini di Berlino Est non intendevano far rientro dalle vacanze e si rifugiarono nelle ambasciate della Germania Occidentale dislocate a Praga e Budapest. L’11 settembre l’Ungheria aprì le frontiere con l’Austria permettendo a altre 10.000 cittadini di passare in Occidente. Tali avvenimenti determinarono dimostrazioni di massa contro il governo della Germania Est nell’autunno successivo.
Ero solo un ragazzino all’epoca, ma ho ancora nitide nella mente le immagini trasmesse in tv che immortalavano il 9 di novembre del 1989 una folla di berlinesi che, finalmente autorizzati dal governo della DDR, prendevano d’assalto il Muro per raggiungere altri numerosi gruppi di persone festanti dall’altra parte. Così come non dimentico le speranze di libertà di giovani studenti cinesi soffocate nel sangue cinque mesi prima dai carri armati nella piazza Tienanmen di Pechino. Il sociologo e filosofo tedesco Ralf Dahrendorf, riflettendo sulla portata degli eventi del 1989, concluse che il «socialismo reale» era stato semplicemente incapace di soddisfare il bisogno di libertà e progresso di ogni uomo. Quell’anno rappresentò il momento più significativo che portò al crollo del regime comunista nell’Europa orientale e, quindi, alla fine della contrapposizione tra Est e Ovest, seppur con conseguenze politiche e sociali difficili che ancora oggi si trascinano. Di fatto, Berlino veniva finalmente restituita ai berlinesi, anzi, a tutta l’umanità libera, poiché come affermò il presidente americano Kennedy nel 1963 di fronte all’orrendo muro della vergogna, «tutti gli uomini liberi, ovunque si trovino, sono cittadini di Berlino».
Oggi l’«Elsa d’oro», simbolo della città, può contemplare di nuovo dall’alto una capitale fra le più belle in Europa, una città libera, moderna, dinamica e ricca di manifestazioni culturali. È giusto oggi, a vent’anni di distanza dalla caduta del Muro, celebrare Berlino attraverso il pregevole talento artistico di un giovane pittore toscano. Ed ogni espressione artistica è un’espressione di libertà.
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Gli angeli di Berlino (di Sebastiana Gangemi)
La mia Berlino (di Claudio Cionini)
Tra i grandi viali della ex Berlino Est tira un vento teso da nord, scorre come un fiume in piena tra i massicci edifici fatti a scatole che fanno da argine. Per andare verso Alexanderplatz devo camminare controcorrente.
Ai bordi dei marciapiedi, attorno alle auto in sosta, si fermano a marcire le foglie dei castagni, ingiallite da questo ottobre che, poco alla volta, prepara alla rigida stagione invernale.
Mi fermo per un attimo a guardare le ombre degli alberi danzare sull’asfalto scuro, bagnato dalla recente pioggia. Alzo gli occhi, poco alla volta, la prospettiva di questi monumentali edifici porta lo sguardo lontano, dove si distingue ben poco: laggiù dove la profondità appiattisce i contrasti con una luce leggera, facendo sembrare i grandi palazzi senza peso.
Mi trovo sulla Karl-Marx Allee, un viale che attraversa tutto il quartiere di Friedrichshain da est verso ovest, parallelamente alla Sprea. Percorrendolo, ci impone di tornare ai tempi in cui è nato, potrebbe testimoniare di glorie e di sconfitte, di sommosse e di proteste: è esso stesso la forma concreta di un pensiero ideologico e chi meglio di lui ci può far capire il passato?
Attorno all’Alexanderplatz si fermano gli ultimi edifici dell’est. Questa piazza sembra guardare verso ovest; divisa in due dalla stazione della metro e solcata ai lati dai binari del tram, è un grande punto di incontro e di partenza, sempre affollata da persone che l’attraversano frettolosamente, oppure, in attesa, siedono sulle panchine.
Mi sono spesso fermato qui, ad osservare le persone, che vanno a chissà quale destinazione, a chissà quale vita. Uno straniero come me, a Berlino, non può fare a meno di chiedersi come è stata la vita in una città divisa, e cosa è rimasto, nelle persone, di quel muro.
Guardo i giovani, gli anziani e mi domando: avranno vissuto a est oppure a ovest.
Se il Muro di Berlino è stato il simbolo più forte della Guerra Fredda, l’ abbattimento dello stesso è sicuramente un simbolo altrettanto forte di libertà, del bisogno istintivo che l’uomo ha di essa.
Lo stridere delle rotaie mi porta ad alzare lo sguardo verso la sopraelevata e a seguire la corsa del treno. Potrei prendere qui la linea due della metro e arrivare direttamente e in pochi minuti a Potsdamer Platz… decido però di proseguire a piedi, magari lungo la Leipziger Strasse e andare così incontro alle nuove costruzioni dei quartieri occidentali.
In direzione Charlottenburg la città cambia pelle. Il rigore che ho incontrato prima, lascia spazio alle multiformi creazioni architettoniche contemporanee: Potsdamer Platz ne è l’esempio più evidente.
Tra questi grattacieli che puntano verso il cielo, continuo ad aggirarmi prima di rientrare a casa. Alcuni di questi, qua intorno, devono essere ancora completati, di altri, per ora, si vede solo un groviglio di gru. Sulle macerie del muro, Berlino, sta costruendo il suo futuro.
Berlino, ottobre 2009.
dal Catalogo della mostra “Luoghi dell’assenza”
Fiesole (FI), sala Antiquarium Costantini
1 – 30 Marzo 2008
"Quando tutto è come sembra" (Giovanni Faccenda)
«Si spegne ogni rumore,
il tempo non ha voce.
Se almeno qui
volete riconoscere l’amore
dovete perdonarci
nell’ombra che anche qui
getta la croce.
Giovanni Testori, L’amore, 1968
Nel «sistema» dell’arte contemporanea, la Maremma è soltanto Il Giardino dei Tarocchi di Niki de Saint Phalle, a Garavicchio (Capalbio), e quello di Daniel spoerri, a Seggiano. Pittori, in questa terra, non esisterebbero, secondo coloro che ritengono la pittura alla stregua di un passatempo e, comunque, una pratica passata, tanto da evocare confusamente la sola presenza dei macchiaioli, in questi luoghi, e nessuna altra, più recente esistenza.
Accade, allora, che un giovane di talento, come Claudio Cionini, debba fare i conti con un isolamento critico, generato da ottusità e disattenzione, che presenta, tuttavia, qualche aspetto positivo, a cominciare da una salvifica impossibilità a rientrare nella «necessaria» omologazione, che tanto ha a cuore qualche furbetto metropolitano.
Piuttosto che frequentare la cerchia dei «soliti noti», che confezionano effimeri successi a Parigi come a Milano, Cionini, abbandonandosi alla propria indole da misantropo, ha preferito e preferisce inseguire i fantasmi che ancora abitano le strade all’ombra della Tour Eiffel o intorno al vecchio Bar Giamaica, alla ricerca di suggestioni immateriali da realizzare in pittura. Così ha scelto ore e giorni in cui le città, svuotate di gente, auto e rumori, tornano a godere di una solitudine e di un silenzio dal sapore antico, quando tutto è come sembra e una luce, improvvisa, accende chiarori spirituali che accarezzano le facciate delle case e infine scemano, languidi come lamenti, per i deserti marciapiedi.
In questo itinerario fisico e intellettuale, che riecheggia complessi abbandoni, ci piace pensare a un artista confortato nel suo impegno dalla prosa toccante di Giovanni Testori, alimento straordinario per la generazione di autori appena precedente a quella di Cionini, divenuta, oggi, realtà, se non riferimento, in uno scenario tristemente impoverito. Il progressivo allontanamento dal valore della pittura – e dalla pittura di valore – ha infatti contribuito a una tale mistificazione, che soltanto coloro dotati di buon senso ancora riescono a orientarsi nei discussi e discutibili territori dei generi contemporanei. Il «sistema», del resto, nasce e si rafforza nel caos: una volta messo in discussione quanto di oggettivo esista e resista nell’arte, allora diventa facile, con l’aiuto dei molti soggetti interessati , imporre il niente, facendo passare, con uno scaltro gioco di prestigio, la più ingannevole equivalenza: prezzo=valore.
Dinanzi a questa desolante situazione, affidiamo volentieri le nostre ultime speranze a giovani seri, impegnati e ispirati, com’è, appunto, Claudio Cionini. Un pittore, divenuto tale, dopo aver frequentato l’impareggiabile e severissima scuola di Adriano Bimbi, con altri coetanei di valore che – ne siamo certi – egli ritroverà in molte appassionanti occasioni future.
Dovrà, Cionini, continuare a credere nel sogno della pittura, mostrare il carattere quando la debole fiammella sembrerà spegnersi al vento, impetuoso, delle disillusioni, fino a trovare la forza necessaria per affrontare un percorso che si annuncia, nelle sue infinite difficoltà, tortuoso e fatalmente solitario. Ma siamo certi che ce la farà, con una convinzione che aumenta guardando questi dipinti che sanno d’autunno e di promesse di pioggia, talvolta imbiancati da un bagliore mistico che albeggia negli oscuri fondali, e sempre striati da colature che alludono, come rughe, alla fatica dell’esistenza, a un mestiere di vivere che, curiosamente, racchiude in sé le stesse ansie, le stesse passioni, le stesse inquietudini, tipiche nel dipingere.
Firenze, dicembre 2007.
"Di fronte la città, dentro la vita" (Giovanna Maria Carli)
Linee scorrono veloci,
il tempo non ferma l’immagine
Il pittore con gesto sapiente
imprime di sé il divenire mondo.
Castello di Poppiano, dicembre 2007
Protagonisti delle visioni urbane ed extraurbane che Claudio Cionini regala al riguardante sono architetture prese a pretesto per dialoghi muti.
Metafisiche pensosità gettano intorno sgomento all’uomo dell’oggi che, ingordo dell’avere, meno attento all’essere, brama che un artista possa restituirgli la purezza vuota dell’architettura senza contaminazioni di sorta.
Nessuna vita palpitante nelle vibrazioni cromatiche intorno a un unico soggetto, architettonico. Si avverte forte il cuore sincero di un giovane e sapiente autore che si spoglia di artifizi per gettarsi in una sperimentazione interpretativa e tecnica tutta da scoprire.
Rarefatte atmosfere indugiano su movimenti che la luce imprime su superfici trattate. Immote nella loro compostezza monumentale, fanno parlare di sé e di noi. Della nostra distrazione, della nostra fretta.
Riconosci il talento alla prima occhiata, ti compiaci della tecnica, scopri la città tra le mille linee tracciate, tra prospettive e scorci dimenticati, passando a capo chino, su tutto, su tutti.
Trasudanti di storia, palpitanti di passione, gridanti verità, le città risorgono dalla dimenticanza patetica di una vita mangiata in fretta.
Abile artista, cantore di volumi, Cionini riscopre de Chirico nella sua essenza, indicando un nuovo percorso per un’arte che in assenza dell’uomo lo chiama, da dentro.
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I silenzi di Claudio (di Sebastiana Gangemi)
La narrazione figurata di Claudio Cionini ci conduce alla scoperta di un paesaggio che viene analizzato attraverso la lente dell’archeologo industriale. Fabbriche dismesse, edifici abbandonati, vagoni ferroviari, rotaie, opere di ingegneria civile, appaiono sospesi nel tempo.
Una realtà periferica prende vita, l’urbano degli ultimi cinquanta anni, dove l’uomo è assente.
Immagini che sembrano lontane, straniere, ma che fanno parte della nostra storia più di quanto non crediamo possibile. Una storia umana che ci parla di quello che è stato e di quello che è rimasto.
«Chi è dentro è salvo», scriveva Domenico Rea, nel ’63, in pieno miracolo economico, nel tracciare il profilo dell’operaio siderurgico piombinese integrato nella fabbrica. «Lì è la sua anima, lì potrà trovare la dignità dell’uomo della siderurgia, chiave di volta per intendere l’animo dell’operaio di Piombino».
Un passato ancora vivo che rivive attraverso le immagini di Cionini, una storia umana che torna in superficie e riaffiora nel racconto figurativo dell’artista toscano.
In altre occasioni, invece, Cionini indossa i panni di un viaggiatore solitario e come nel flâneur di Walter Benjamin ci conduce per mano alla scoperta delle sue architetture urbane. Quartieri cittadini, stazioni ferroviarie, strade che si incontrano, automobili in sosta, visioni poetiche, soo di rado solcate da figure contemporanee in movimento. «La città si scinde nei suoi poli dialettici. Si schiude davanti a lui come paesaggio, lo circonda come una stanza». Una città che si fa paesaggio, ecco la felice intuizione del giovane talento. Milano, Berlino, Parigi, moderne metropoli. Così uguali, così diverse, nei loro tratti distintivi, affascinanti e misteriose seducono e catturano i nostri sguardi.
Sono «I vecchi palazzi chiusi nel Faubourg Saint-Germain con le loro imposte bianco-grigie, i giardini e i cortili discreti, i cancelli dalle fitte sbarre e i pesanti portoni che chiudono bene», come ce li descrive Rainer Maria Rilke. «Alcuni erano molto superbi, pretenziosi e inaccessibili. Potevano essere stati i Talleyrand, i La Rochefoucauld, signori irraggiungibili. Ed ecco venire una strada altrettantotranquilla ma con case un poco più piccole, a modo loro non meno distinte e assai più riservate…».
Sembrano immagini rubate all’obiettivo, istantanee in bianco e nero, con qualche concessione al colore della terra e dell’acciaio, percorse dalle numerose colature, dalle profonde incisioni e dai tratti decisi che tracciano i rapporti statici sulla superficie pittorica, dove il lavoro del pittore artigiano prevale, padrone di una tecnica e di uno stile già definito.
La sua produzone, quindi, entra a pieno titolo nell’ultima ondata della figurazione italiana che di recente ha attirato, in maniera determinata, l’attenzione e il sostegno della critica, alla quale ha già dedicato numerose manifestazioni espositive.
Ma, se gettiamo uno sguardo al passato, la ricerca pittorica di Claudio Cionini passa attraverso la lezione dei pittori futuristi che scesero la moderna città, simbolo del progresso e della velocità come luogo d’elezione per esprimere al meglio le loro idee, ripudiando la raffigurazione tradizionale del paesaggio di origine naturalistica. Impossibile non ricordare i paesaggi urbani di Sironi degli anni ’20 che risentono degli echi metafisici e che sfociano in una visione espressionista, cupa e angosciante delle nuove civiltà urbane e industriali e delle fredde periferie, dove si inizia ad intravedere il dramma dell’uomo contemporaneo e la sua inevitabile solitudine, interotte solo da qualche camion di passaggio o da qualche figura umana stilizzata.
Non c’è tensione o angoscia, invece, nelle rappresentazioni di Cionini, ma la serena consapevolezza dell’artista che lavora con passione nella sua solitudine creativa, senza dimenticare che, come ci ricorda un grande toscano della pittura, Sergio Scatizzi, «ogni artista è solo per vocazione».
Dicembre 2007
"Architetture e luci della società moderna" (Salvatore Italia)
Claudio Cionini figura tra gli artisti che hanno dedicato un’opera a Giuseppe Garibaldi nella recente mostra organizzata a Firenze nel quadro delle manifestazioni per il bicentenario della nascita dell’eroe dei due mondi. Una presenza significativa, quella di Cionini, ma anche il giusto riconoscimento per un pittore che si va sempre più distinguendo nel panorama dell’arte contemporanea, dimostrando in modo assai convincente innate doti di creatività ed un linguaggio espressivo frutto di una continua ricerca.
Sono la natura, il paesaggio, le città i motivi dominanti che esercitano un irresistibile richiamo sull’artista grossetano. Egli ne trae ispirazione non per tratteggiare idilliache e ridenti situazioni ma per descrivere le realtà più autentiche, così vediamo scorrere nelle sue opere gli asfalti resi lucidi dalle piogge d’autunno, i fiochi lampioni degli angoli e delle piazze, le plumbee periferie di città dominate da stupefacenti sensi di solitudine immalinconite dall’assenza di personaggi. È un mondo, tuttavia, non inerte ma percorso da emozionanti vibrazioni che corrono sul filo di straordinari effetti cromatici. Il giovane maestro dipinge, con superba capacità stilistica, l’architettura della moderna società, pervasa dal grigiore dei sentimenti ma dove si riescono a scorgere le luci e la poesia che, comunque, accompagnano il cammino dell’uomo, l’essere posto al centro dell’universo, non visibile nelle strade deserte di Cionini ma la cui presenza si avverte e incombe con l’invincibile anello della vita .
Sono certo che quest’artista, già così maturo, saprà scrivere ancora pagine importanti, meritando la maggiore attenzione dei critici e la crescente ammirazione di tutti coloro che già lo stimano e lo apprezzano.
"Le evocazioni poetiche di Claudio Cionini" (Riccardo Nencini)
…mentre camminavo nella notte mi sembrava che tutto fosse possibile e che persino le strade deserte e il vento ostile profumasse di speranza.
Carlos Ruiz Zafòn, L’ombra del vento, 2001.
Di Claudio Cionini, giovane ed emergente autore nel panorama dell’arte d’oggi, ricordo volentieri la partecipazione alla mostra «La camicia dei Mille» dedicata dal Consiglio regionale della Toscana all’Eroe dei due mondi nel Bicentenario della nascita. L’opera che Cionini ha ideato per l’importante occasione mostra innovazione seppur nel solco della tradizione toscana della prospettiva e della bella maniera. Una tela che parla per simboli, avvolta in un’atmosfera metafisica. Un lavoro importante che indubbiamente mi ha molto colpito. È importante che un giovane talento raffiguri un eroe, figura chiave del nostro Risorgimento, senza ricorrere alla retorica con la quale – specialmente per quanto riguarda Garibaldi: vera e propria icona pop fino da vivo, tanto da essere molto ritratto – era quasi scontato fare i conti, ma non prenderne le distanze.
In seguito ho approfondito la conoscenza artistica di Cionini, rendendomi conto che l’autore, seppur nella continua e quasi quotidiana tensione di studio e di ricerca e quindi di evoluzione, abbia già imboccato la strada giusta. Così ho avuto modo di ammirare in anteprima le opere pubblicate in queso catalogo, esposte in uno dei luoghi più rappresentativi di Fiesole, stupendomi quasi per i risultati raggiunti.
Certi paesaggi, alcune atmosfere, hanno il potere di scambiare col riguardante ricordi di passaggi, alcuni anche solo puramente mentali.
La figura umana assente crea una rara partecipazione tra l’opera e chi guarda, tanto che quasi ti senti chiamato sulla scena e puoi immaginarti in interazioni fantastiche: la creatività che stimola la creatività e la fantasia che si potenzia attraverso uno scambio offerto senza risparmi da un artista di talento.
Auguro a Claudio Cionini di continuare nel cammino della grande pittura per affermare i suoi / nostri sogni.
"Sotto la pelle della pittura" (Nicola Nuti)
Nella pittura dell’ultimo secolo, il paesaggio è sempre una sorta di ritratto interiore: tra ciò che si vede e quanto viene intuito per via di indizi. Descrivere o rappresentare ciò che ci circonda significa dare riconoscibilità alle cose nel nostro universo percettivo; collocarle in una dimensione lirica e memoriale. Del resto tutta l’arte del Novecento è stata un susseguirsi di scenari in cui oggetti e luoghi della realtà sostenevano l’immaginario poetico. Ed è una necessaria conseguenza che tale materiale visivo, giunto a sedimentazione, arrivi ad alimentare nuove esperienze nel contemporaneo.
I complessi industriali, gli scorci urbani che Claudio Cionini dipinge, sono una specie di estensione dello sguardo, che si spinge fino alle superfici corrose, ai labirinti di condutture, alle diritture che s’intagliano fra i palazzi. Ciò che il pittore vede, esprime l’immobile indiffereza di strutture in cui l’uomo è di passaggio. Case come voliere inabitate e fabbriche che diresti alimentate dalle stesse esistenze gravate dai giornalieri affanni: una popolazione di assenze gremisce la scena pittorica di Cionini. Il lavoro dell’artista è anche documento, memoria, constatazione obbligata degli eventi. Raffigura situazioni oggettive che sono allo stesso tempo vita e desiderio di annullarsi. Tutto, qui, è affidato al segno, al linguaggio del colore; con questi elementi composti organicamente sui residui della tradizione, Cionini approfondisce il carattere di un luogo poetico che negli anni ha avuto riferimenti d’elezione nell’opera di Sironi, Casorati o de Chirico.
La regione mentale in cui si sviluppa il suo lavoro beneficia di un’estrema coerenza di forma e sentimento; uno stato inalterato dello spirito che rende l’osservazione delle cose puntuale e priva di coloriture narrative. L’arte per lui ha necessità più che di raccontare raffigurare, di suscitare pensieri con l’attenta strutturazione degli spazi, la costruzione di scabri profili architettonici che accentuano la percezione della nostra esistenza labirintica.
Un insieme, quindi, di «cura» artigiana e di conduzione in profondo della visione che arriva a farsi pittura dopo un rigoroso vaglio formale, così che non rimangano cenni di esibizione o tentazioni sperimentali.
Nella pagina di Cionini un fondo di tradizione si intreccia profiquamente con le istanze del contemporaneo: tra le ossidazioni di silos e serbatoi, e le orbite calcinate delle architetture urbane, si avverte quel che di lugubre che potremmo ritrovare addirittura nelle «Prigioni» del Piranesi.
Il pittore non si accosta alla natura con animo sgombro, disposto ad accettare ogni dono visivo, ma sceglie di calarsi in una realtà quotidiana, immobile, dove la vita, quella degli altri, sembra appena trascorsa, mentre la storia, delle cose, è appena cominciata.
Ed è forse solamente il tempo, l’unica presenza viva sulla scena, che segna di bave rugginose quelle fabbriche simbolo di tempi «eroici». Non più gli altiforni pulsanti di vampe incandescenti dipinti, ad esempio, da Farulli (anche lui, negli anni Sessanta, frequentatore degli scali e degli impianti siderurgici piombinesi), ma residui piroclastici raffreddati, strutture ossificate e sopravvissute agli eventi.
Quella di Cionini è una pittura asciutta e diretta: ci fa ritrovare in ambienti che a volte hanno consonanze di quinte teatrali, magari di spettacoli «off» con le funi e le attrezzature di scena in vista. Le sue sono immagini che mettono a nudo la trama figurale, ne rilevano i particolari, quasi a sfociare, con andamento sempre più dilatato, in esiti informali. È quanto emerge dalla recente serie di scorci parigini, in cui la materia tende ad assottigliarsi per lasciare intravedere l’impalcatura di segni sottostante, quasi la pelle di un corpo si ritraesse mostrando tendini e muscoli. È evidente qui una disponibilità allo straniamento nei confronti della città, còlta, anziché nella sua frenetica vitalità, nella grigia indifferenza delle sue costruzioni. In tal senso è chiaro che l’artista percepisce certi avvertimenti di disgregazione, sociale ed esistenziale. La materia tracciata sommariamente, la distribuzione dei colori secondo un omogeneo senso tonico, la frammentazione delle pennellate consentono una lettura anche di carattere espressionistico. Gli edifici, i monumenti e i boulevard ci appaiono nella loro illusoria volumetria, perché a Cionini non interessa la resa plastica delle forme, ma il loro costituirsi in sostanza pittorica. Alla fine si avverte così una sorta di fertile discrepanza tra la meditata evoluzione del segno e le necessità delle realtà accertabili: poiché ai tempi nostri serve riflessione e misura, soffermarsi sui valori, anche morali, che nessun azzardo può modificare, un approfondimento di quei criteri che confortano, senza saziare di compiacimenti.
In questi dipinti è insignificante ricercare la verosimiglianza: quanto c’è da vedere si trova nel disegno, nella distribuzione della materia. Vi è un aspetto che potremmo definire di efficienza mentale nel ricongiungimento di un immaginario interiore alle visioni di una realtà che si è fatta sempre più «virtuale», distante dall’uomo. La pittura di Cionini, pur senza dare pieno consenso alla tradizione, riesce a conquistarsi spazio annodando presente e passato, ricordando alla vita anche gli inconsueti panorami pesantemente segnati dalle necessità del progresso.
Firenze, dicembre 2007
Dal catalogo
“Luoghi dell’assenza”
Fiesole (FI), sala Antiquarium Costantini
1 – 30 Marzo 2008
"Quando tutto è come sembra" (Giovanni Faccenda)
«Si spegne ogni rumore,
il tempo non ha voce.
Se almeno qui
volete riconoscere l’amore
dovete perdonarci
nell’ombra che anche qui
getta la croce.
Giovanni Testori, L’amore, 1968
Nel «sistema» dell’arte contemporanea, la Maremma è soltanto Il Giardino dei Tarocchi di Niki de Saint Phalle, a Garavicchio (Capalbio), e quello di Daniel spoerri, a Seggiano. Pittori, in questa terra, non esisterebbero, secondo coloro che ritengono la pittura alla stregua di un passatempo e, comunque, una pratica passata, tanto da evocare confusamente la sola presenza dei macchiaioli, in questi luoghi, e nessuna altra, più recente esistenza.
Accade, allora, che un giovane di talento, come Claudio Cionini, debba fare i conti con un isolamento critico, generato da ottusità e disattenzione, che presenta, tuttavia, qualche aspetto positivo, a cominciare da una salvifica impossibilità a rientrare nella «necessaria» omologazione, che tanto ha a cuore qualche furbetto metropolitano.
Piuttosto che frequentare la cerchia dei «soliti noti», che confezionano effimeri successi a Parigi come a Milano, Cionini, abbandonandosi alla propria indole da misantropo, ha preferito e preferisce inseguire i fantasmi che ancora abitano le strade all’ombra della Tour Eiffel o intorno al vecchio Bar Giamaica, alla ricerca di suggestioni immateriali da realizzare in pittura. Così ha scelto ore e giorni in cui le città, svuotate di gente, auto e rumori, tornano a godere di una solitudine e di un silenzio dal sapore antico, quando tutto è come sembra e una luce, improvvisa, accende chiarori spirituali che accarezzano le facciate delle case e infine scemano, languidi come lamenti, per i deserti marciapiedi.
In questo itinerario fisico e intellettuale, che riecheggia complessi abbandoni, ci piace pensare a un artista confortato nel suo impegno dalla prosa toccante di Giovanni Testori, alimento straordinario per la generazione di autori appena precedente a quella di Cionini, divenuta, oggi, realtà, se non riferimento, in uno scenario tristemente impoverito. Il progressivo allontanamento dal valore della pittura – e dalla pittura di valore – ha infatti contribuito a una tale mistificazione, che soltanto coloro dotati di buon senso ancora riescono a orientarsi nei discussi e discutibili territori dei generi contemporanei. Il «sistema», del resto, nasce e si rafforza nel caos: una volta messo in discussione quanto di oggettivo esista e resista nell’arte, allora diventa facile, con l’aiuto dei molti soggetti interessati , imporre il niente, facendo passare, con uno scaltro gioco di prestigio, la più ingannevole equivalenza: prezzo=valore.
Dinanzi a questa desolante situazione, affidiamo volentieri le nostre ultime speranze a giovani seri, impegnati e ispirati, com’è, appunto, Claudio Cionini. Un pittore, divenuto tale, dopo aver frequentato l’impareggiabile e severissima scuola di Adriano Bimbi, con altri coetanei di valore che – ne siamo certi – egli ritroverà in molte appassionanti occasioni future.
Dovrà, Cionini, continuare a credere nel sogno della pittura, mostrare il carattere quando la debole fiammella sembrerà spegnersi al vento, impetuoso, delle disillusioni, fino a trovare la forza necessaria per affrontare un percorso che si annuncia, nelle sue infinite difficoltà, tortuoso e fatalmente solitario. Ma siamo certi che ce la farà, con una convinzione che aumenta guardando questi dipinti che sanno d’autunno e di promesse di pioggia, talvolta imbiancati da un bagliore mistico che albeggia negli oscuri fondali, e sempre striati da colature che alludono, come rughe, alla fatica dell’esistenza, a un mestiere di vivere che, curiosamente, racchiude in sé le stesse ansie, le stesse passioni, le stesse inquietudini, tipiche nel dipingere.
Firenze, dicembre 2007.
"Di fronte la città, dentro la vita" (Giovanna Maria Carli)
Linee scorrono veloci,
il tempo non ferma l’immagine
Il pittore con gesto sapiente
imprime di sé il divenire mondo.
Castello di Poppiano, dicembre 2007
Protagonisti delle visioni urbane ed extraurbane che Claudio Cionini regala al riguardante sono architetture prese a pretesto per dialoghi muti.
Metafisiche pensosità gettano intorno sgomento all’uomo dell’oggi che, ingordo dell’avere, meno attento all’essere, brama che un artista possa restituirgli la purezza vuota dell’architettura senza contaminazioni di sorta.
Nessuna vita palpitante nelle vibrazioni cromatiche intorno a un unico soggetto, architettonico. Si avverte forte il cuore sincero di un giovane e sapiente autore che si spoglia di artifizi per gettarsi in una sperimentazione interpretativa e tecnica tutta da scoprire.
Rarefatte atmosfere indugiano su movimenti che la luce imprime su superfici trattate. Immote nella loro compostezza monumentale, fanno parlare di sé e di noi. Della nostra distrazione, della nostra fretta.
Riconosci il talento alla prima occhiata, ti compiaci della tecnica, scopri la città tra le mille linee tracciate, tra prospettive e scorci dimenticati, passando a capo chino, su tutto, su tutti.
Trasudanti di storia, palpitanti di passione, gridanti verità, le città risorgono dalla dimenticanza patetica di una vita mangiata in fretta.
Abile artista, cantore di volumi, Cionini riscopre de Chirico nella sua essenza, indicando un nuovo percorso per un’arte che in assenza dell’uomo lo chiama, da dentro.
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I silenzi di Claudio (di Sebastiana Gangemi)
La narrazione figurata di Claudio Cionini ci conduce alla scoperta di un paesaggio che viene analizzato attraverso la lente dell’archeologo industriale. Fabbriche dismesse, edifici abbandonati, vagoni ferroviari, rotaie, opere di ingegneria civile, appaiono sospesi nel tempo.
Una realtà periferica prende vita, l’urbano degli ultimi cinquanta anni, dove l’uomo è assente.
Immagini che sembrano lontane, straniere, ma che fanno parte della nostra storia più di quanto non crediamo possibile. Una storia umana che ci parla di quello che è stato e di quello che è rimasto.
«Chi è dentro è salvo», scriveva Domenico Rea, nel ’63, in pieno miracolo economico, nel tracciare il profilo dell’operaio siderurgico piombinese integrato nella fabbrica. «Lì è la sua anima, lì potrà trovare la dignità dell’uomo della siderurgia, chiave di volta per intendere l’animo dell’operaio di Piombino».
Un passato ancora vivo che rivive attraverso le immagini di Cionini, una storia umana che torna in superficie e riaffiora nel racconto figurativo dell’artista toscano.
In altre occasioni, invece, Cionini indossa i panni di un viaggiatore solitario e come nel flâneur di Walter Benjamin ci conduce per mano alla scoperta delle sue architetture urbane. Quartieri cittadini, stazioni ferroviarie, strade che si incontrano, automobili in sosta, visioni poetiche, soo di rado solcate da figure contemporanee in movimento. «La città si scinde nei suoi poli dialettici. Si schiude davanti a lui come paesaggio, lo circonda come una stanza». Una città che si fa paesaggio, ecco la felice intuizione del giovane talento. Milano, Berlino, Parigi, moderne metropoli. Così uguali, così diverse, nei loro tratti distintivi, affascinanti e misteriose seducono e catturano i nostri sguardi.
Sono «I vecchi palazzi chiusi nel Faubourg Saint-Germain con le loro imposte bianco-grigie, i giardini e i cortili discreti, i cancelli dalle fitte sbarre e i pesanti portoni che chiudono bene», come ce li descrive Rainer Maria Rilke. «Alcuni erano molto superbi, pretenziosi e inaccessibili. Potevano essere stati i Talleyrand, i La Rochefoucauld, signori irraggiungibili. Ed ecco venire una strada altrettantotranquilla ma con case un poco più piccole, a modo loro non meno distinte e assai più riservate…».
Sembrano immagini rubate all’obiettivo, istantanee in bianco e nero, con qualche concessione al colore della terra e dell’acciaio, percorse dalle numerose colature, dalle profonde incisioni e dai tratti decisi che tracciano i rapporti statici sulla superficie pittorica, dove il lavoro del pittore artigiano prevale, padrone di una tecnica e di uno stile già definito.
La sua produzone, quindi, entra a pieno titolo nell’ultima ondata della figurazione italiana che di recente ha attirato, in maniera determinata, l’attenzione e il sostegno della critica, alla quale ha già dedicato numerose manifestazioni espositive.
Ma, se gettiamo uno sguardo al passato, la ricerca pittorica di Claudio Cionini passa attraverso la lezione dei pittori futuristi che scesero la moderna città, simbolo del progresso e della velocità come luogo d’elezione per esprimere al meglio le loro idee, ripudiando la raffigurazione tradizionale del paesaggio di origine naturalistica. Impossibile non ricordare i paesaggi urbani di Sironi degli anni ’20 che risentono degli echi metafisici e che sfociano in una visione espressionista, cupa e angosciante delle nuove civiltà urbane e industriali e delle fredde periferie, dove si inizia ad intravedere il dramma dell’uomo contemporaneo e la sua inevitabile solitudine, interotte solo da qualche camion di passaggio o da qualche figura umana stilizzata.
Non c’è tensione o angoscia, invece, nelle rappresentazioni di Cionini, ma la serena consapevolezza dell’artista che lavora con passione nella sua solitudine creativa, senza dimenticare che, come ci ricorda un grande toscano della pittura, Sergio Scatizzi, «ogni artista è solo per vocazione».
Dicembre 2007
"Architetture e luci della società moderna" (Salvatore Italia)
Claudio Cionini figura tra gli artisti che hanno dedicato un’opera a Giuseppe Garibaldi nella recente mostra organizzata a Firenze nel quadro delle manifestazioni per il bicentenario della nascita dell’eroe dei due mondi. Una presenza significativa, quella di Cionini, ma anche il giusto riconoscimento per un pittore che si va sempre più distinguendo nel panorama dell’arte contemporanea, dimostrando in modo assai convincente innate doti di creatività ed un linguaggio espressivo frutto di una continua ricerca.
Sono la natura, il paesaggio, le città i motivi dominanti che esercitano un irresistibile richiamo sull’artista grossetano. Egli ne trae ispirazione non per tratteggiare idilliache e ridenti situazioni ma per descrivere le realtà più autentiche, così vediamo scorrere nelle sue opere gli asfalti resi lucidi dalle piogge d’autunno, i fiochi lampioni degli angoli e delle piazze, le plumbee periferie di città dominate da stupefacenti sensi di solitudine immalinconite dall’assenza di personaggi. È un mondo, tuttavia, non inerte ma percorso da emozionanti vibrazioni che corrono sul filo di straordinari effetti cromatici. Il giovane maestro dipinge, con superba capacità stilistica, l’architettura della moderna società, pervasa dal grigiore dei sentimenti ma dove si riescono a scorgere le luci e la poesia che, comunque, accompagnano il cammino dell’uomo, l’essere posto al centro dell’universo, non visibile nelle strade deserte di Cionini ma la cui presenza si avverte e incombe con l’invincibile anello della vita .
Sono certo che quest’artista, già così maturo, saprà scrivere ancora pagine importanti, meritando la maggiore attenzione dei critici e la crescente ammirazione di tutti coloro che già lo stimano e lo apprezzano.
"Le evocazioni poetiche di Claudio Cionini" (Riccardo Nencini)
…mentre camminavo nella notte mi sembrava che tutto fosse possibile e che persino le strade deserte e il vento ostile profumasse di speranza.
Carlos Ruiz Zafòn, L’ombra del vento, 2001.
Di Claudio Cionini, giovane ed emergente autore nel panorama dell’arte d’oggi, ricordo volentieri la partecipazione alla mostra «La camicia dei Mille» dedicata dal Consiglio regionale della Toscana all’Eroe dei due mondi nel Bicentenario della nascita. L’opera che Cionini ha ideato per l’importante occasione mostra innovazione seppur nel solco della tradizione toscana della prospettiva e della bella maniera. Una tela che parla per simboli, avvolta in un’atmosfera metafisica. Un lavoro importante che indubbiamente mi ha molto colpito. È importante che un giovane talento raffiguri un eroe, figura chiave del nostro Risorgimento, senza ricorrere alla retorica con la quale – specialmente per quanto riguarda Garibaldi: vera e propria icona pop fino da vivo, tanto da essere molto ritratto – era quasi scontato fare i conti, ma non prenderne le distanze.
In seguito ho approfondito la conoscenza artistica di Cionini, rendendomi conto che l’autore, seppur nella continua e quasi quotidiana tensione di studio e di ricerca e quindi di evoluzione, abbia già imboccato la strada giusta. Così ho avuto modo di ammirare in anteprima le opere pubblicate in queso catalogo, esposte in uno dei luoghi più rappresentativi di Fiesole, stupendomi quasi per i risultati raggiunti.
Certi paesaggi, alcune atmosfere, hanno il potere di scambiare col riguardante ricordi di passaggi, alcuni anche solo puramente mentali.
La figura umana assente crea una rara partecipazione tra l’opera e chi guarda, tanto che quasi ti senti chiamato sulla scena e puoi immaginarti in interazioni fantastiche: la creatività che stimola la creatività e la fantasia che si potenzia attraverso uno scambio offerto senza risparmi da un artista di talento.
Auguro a Claudio Cionini di continuare nel cammino della grande pittura per affermare i suoi / nostri sogni.
"Sotto la pelle della pittura" (Nicola Nuti)
Nella pittura dell’ultimo secolo, il paesaggio è sempre una sorta di ritratto interiore: tra ciò che si vede e quanto viene intuito per via di indizi. Descrivere o rappresentare ciò che ci circonda significa dare riconoscibilità alle cose nel nostro universo percettivo; collocarle in una dimensione lirica e memoriale. Del resto tutta l’arte del Novecento è stata un susseguirsi di scenari in cui oggetti e luoghi della realtà sostenevano l’immaginario poetico. Ed è una necessaria conseguenza che tale materiale visivo, giunto a sedimentazione, arrivi ad alimentare nuove esperienze nel contemporaneo.
I complessi industriali, gli scorci urbani che Claudio Cionini dipinge, sono una specie di estensione dello sguardo, che si spinge fino alle superfici corrose, ai labirinti di condutture, alle diritture che s’intagliano fra i palazzi. Ciò che il pittore vede, esprime l’immobile indiffereza di strutture in cui l’uomo è di passaggio. Case come voliere inabitate e fabbriche che diresti alimentate dalle stesse esistenze gravate dai giornalieri affanni: una popolazione di assenze gremisce la scena pittorica di Cionini. Il lavoro dell’artista è anche documento, memoria, constatazione obbligata degli eventi. Raffigura situazioni oggettive che sono allo stesso tempo vita e desiderio di annullarsi. Tutto, qui, è affidato al segno, al linguaggio del colore; con questi elementi composti organicamente sui residui della tradizione, Cionini approfondisce il carattere di un luogo poetico che negli anni ha avuto riferimenti d’elezione nell’opera di Sironi, Casorati o de Chirico.
La regione mentale in cui si sviluppa il suo lavoro beneficia di un’estrema coerenza di forma e sentimento; uno stato inalterato dello spirito che rende l’osservazione delle cose puntuale e priva di coloriture narrative. L’arte per lui ha necessità più che di raccontare raffigurare, di suscitare pensieri con l’attenta strutturazione degli spazi, la costruzione di scabri profili architettonici che accentuano la percezione della nostra esistenza labirintica.
Un insieme, quindi, di «cura» artigiana e di conduzione in profondo della visione che arriva a farsi pittura dopo un rigoroso vaglio formale, così che non rimangano cenni di esibizione o tentazioni sperimentali.
Nella pagina di Cionini un fondo di tradizione si intreccia profiquamente con le istanze del contemporaneo: tra le ossidazioni di silos e serbatoi, e le orbite calcinate delle architetture urbane, si avverte quel che di lugubre che potremmo ritrovare addirittura nelle «Prigioni» del Piranesi.
Il pittore non si accosta alla natura con animo sgombro, disposto ad accettare ogni dono visivo, ma sceglie di calarsi in una realtà quotidiana, immobile, dove la vita, quella degli altri, sembra appena trascorsa, mentre la storia, delle cose, è appena cominciata.
Ed è forse solamente il tempo, l’unica presenza viva sulla scena, che segna di bave rugginose quelle fabbriche simbolo di tempi «eroici». Non più gli altiforni pulsanti di vampe incandescenti dipinti, ad esempio, da Farulli (anche lui, negli anni Sessanta, frequentatore degli scali e degli impianti siderurgici piombinesi), ma residui piroclastici raffreddati, strutture ossificate e sopravvissute agli eventi.
Quella di Cionini è una pittura asciutta e diretta: ci fa ritrovare in ambienti che a volte hanno consonanze di quinte teatrali, magari di spettacoli «off» con le funi e le attrezzature di scena in vista. Le sue sono immagini che mettono a nudo la trama figurale, ne rilevano i particolari, quasi a sfociare, con andamento sempre più dilatato, in esiti informali. È quanto emerge dalla recente serie di scorci parigini, in cui la materia tende ad assottigliarsi per lasciare intravedere l’impalcatura di segni sottostante, quasi la pelle di un corpo si ritraesse mostrando tendini e muscoli. È evidente qui una disponibilità allo straniamento nei confronti della città, còlta, anziché nella sua frenetica vitalità, nella grigia indifferenza delle sue costruzioni. In tal senso è chiaro che l’artista percepisce certi avvertimenti di disgregazione, sociale ed esistenziale. La materia tracciata sommariamente, la distribuzione dei colori secondo un omogeneo senso tonico, la frammentazione delle pennellate consentono una lettura anche di carattere espressionistico. Gli edifici, i monumenti e i boulevard ci appaiono nella loro illusoria volumetria, perché a Cionini non interessa la resa plastica delle forme, ma il loro costituirsi in sostanza pittorica. Alla fine si avverte così una sorta di fertile discrepanza tra la meditata evoluzione del segno e le necessità delle realtà accertabili: poiché ai tempi nostri serve riflessione e misura, soffermarsi sui valori, anche morali, che nessun azzardo può modificare, un approfondimento di quei criteri che confortano, senza saziare di compiacimenti.
In questi dipinti è insignificante ricercare la verosimiglianza: quanto c’è da vedere si trova nel disegno, nella distribuzione della materia. Vi è un aspetto che potremmo definire di efficienza mentale nel ricongiungimento di un immaginario interiore alle visioni di una realtà che si è fatta sempre più «virtuale», distante dall’uomo. La pittura di Cionini, pur senza dare pieno consenso alla tradizione, riesce a conquistarsi spazio annodando presente e passato, ricordando alla vita anche gli inconsueti panorami pesantemente segnati dalle necessità del progresso.
Firenze, dicembre 2007